Storia di “EL”

Faccio una breve premessa. Il racconto che segue e il precedente della mia socia, L’evento, nascono da un esercizio che ci chiedeva di giocare con le lettere e i numeri di una targa: usare le lettere per il nome di un personaggio, i numeri per l’età, il colore per stabilire il sesso, nel nostro caso donna, e, quindi, inventare una storia.

La mia socia ha preso l’esercizio seriamente, io ho cazzeggiato, ma ultimamente ho bisogno di essere poco seria.

Storia di “EL”

EL, è così che la chiamano tutti da quando è nata ed anche se il suo nome è Esmeralda Lombardozzi lei preferisce di gran lunga essere EL. Veloce, immediato, diretto, perché un conto è dire “Piacere sono EL”, altra cosa dire “Piacere sono Esmeralda Lombardozzi”.  Da piccola, in particolare, odiava dirlo tutto per intero tanto che alla fine doveva sempre riprendere fiato per la fatica nel pronunciarlo. Inoltre, prima di essere Esmeralda, era stata Meradda, Emmeradda, Smeradda e c’erano voluti milioni di tentativi per diventare E s m e r a l d a, mentre essere EL era stato semplicissimo ed anche ora, ormai grande, continuava ad evitare il più possibile “Esmeralda Lombardozzi”.

È una buffa storia del perché la chiamino EL. È sicuramente vero che EL sono le iniziali del suo nome e cognome, ma ciò successe per una serie di strane coincidenze che diedero vita ad una vicenda tragicomica che coinvolse suo padre, Emilio Lombardozzi, il giorno in cui accompagnò sua moglie, in preda alle doglie, in ospedale per partorire.

I due non arrivarono in tempo ed Esmeralda nacque al semaforo di un incrocio tre isolati prima dell’ospedale, in mezzo al traffico ed ai clacson strombazzanti, con un’auto straniera, con la sigla EL nella targa, ferma davanti a loro che bloccava tutto. La signora alla guida aveva terminato la benzina.

A nulla erano valsi i tentativi poco pacifici di papà Lombardozzi di far capire alla signora che aveva fretta e che l’auto in qualche modo andava spostata. Oltre non capire, non voler scendere e nemmeno voler aprire la portiera, alle urla del sig. Lombardozzi “EL42 spostati mia figlia sta per nascereee!!!”, lei spaventata rispondeva soltanto “Police! Police!”

Con quell’auto piantata li, che non andava né avanti né indietro, bloccato nell’ingorgo del semaforo, con la signora Lombardozzi che urlava di non farcela più e che la bambina stava per nascere, Emilio Lombardozzi, che continuava a gridare “EL accidenti spostati, EL ma che fai togliti dal cazzo!”, divenne padre. Un vagito, insieme alle grida della signora Lombardozzi “EL brutta imbecille resta pure dove sei … è nataaaa!”, glielo annunciarono e, dopo aver replicato “E’ nata?” – mentre guardava quella bimba minuscola adagiata sul tappetino dell’auto tutta sporca e con il cordone ancora attaccato alla mamma – iniziò a ripetere quello che diventò il mantra che da ben 42 anni ripeteva ad ogni successo di EL “EL è fatta!”, per fortuna EL era una salutista, non beveva e non fumava, perciò nessuno aveva motivo di fraintendere il mantra del papà.

Si, era fatta! La bimba era nata, furono gli operatori dell’ambulanza accorsa sul posto a tagliarle il cordone ombelicale, sollevarla, avvolgerla con un lenzuolino, soccorrere la mamma e portarle entrambe in ospedale, mentre il papà ancora sotto choc continuava a dire “EL è fatta!”

Fu il papà a scegliere Esmeralda quando gli fu chiesto che nome volevano darle. Era sicuro che quel batuffolino rossiccio come la mamma, da grande, avrebbe avuto anche gli occhi verdi come la mamma, verdi come uno smeraldo, ma si sbagliò di grosso, gli occhi si rivelarono castani. Non poteva, inoltre, dimenticare la coincidenza delle lettere sulla targa dell’auto ferma davanti alla loro “EL” “Emilio Lombardozzi” “Esmeralda Lombardozzi”. No, non si poteva non tenerne conto. Suo papà e sua mamma credevano molto alle coincidenze, al destino e riuscivano a trovare un senso anche alle casualità più strane, mentre lei diceva di essere EL a causa di un pieno di benzina mancato.

Cosa era passato per la testa dei suoi genitori per scegliere quel nome? Se doveva essere un nome che iniziava per E ce n’erano sicuramente di più semplici: Elena, Edera, Elisa … ecco avrebbe voluto essere Elisa, Elisa Lombardozzi … più semplice, elegante anche se con quel cognome trovare l’eleganza non era facile e poi conosceva un’Elisa molto carina e dolce; si avrebbe proprio voluto essere Elisa. Insomma Esmeralda è un nome impegnativo e le sembrava stonato ed anche troppo lungo vicino a Lombardozzi ed inoltre, a dirla proprio tutta, pensando alla triste sorte dell’Esmeralda di Victor Hugo, le veniva da pensare che portasse anche un po’ sfiga. Dio come odiava questa cosa di dare un nome ai figli senza tenere conto del cognome, non che dovessero fare coppia nome e cognome, non avrebbe mai chiamato una figlia Rosa se il cognome fosse stato Chiappa, ma un po’ di armonia tra loro doveva esserci.

È il giorno in cui il marito, Enrico Taddei, la sta accompagnando in ospedale per dare alla luce il loro primo figlio, quello in cui EL, dopo aver notato, proprio davanti a loro, un’auto con la targa che inizia con ET84, ripensa alla storia della sua nascita come, tante volte, le è stata raccontata. Sorridendo pensa a quanto sa essere bizzarra la vita, ma nemmeno la più strana delle coincidenze potrà mai convincerla a dare a suo figlio i nomi Eugenio, o Ettore, o Ernesto, o qualsiasi altro con la E, è inimmaginabile una vita da ET!

Le lettere del proprio nome hanno una terribile magia, come se il mondo fosse composto di esse. Sarebbe pensabile un mondo senza nomi?

(Elias Canetti)

N.b.: ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale, il tutto è frutto della mia immaginazione.

9 pensieri riguardo “Storia di “EL””

  1. Conosco benissimo una Chiappa Rosa, non le è mai pesato quel nome e, anzi, con grandissima ironia ci ha sempre giocato sopra . Socia, che dirti ? Un bellissimo racconto, assolutamente inedito ! Complimenti! Il nostro corso homeself by whatsapp sta funzionando e sta tirando fuori tutta la nostra immaginazione .

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  2. Eh, le targhe sono un segnale che viene da chissà dove e fanno riflettere. E comunque proprio bello, Esmeralda.

    PS: nel periodo in cui tornai a giocare a calcio, 2013/2016, giocando con le mie iniziali e il numero di maglia assegnato, divenni AG2! 😀

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    1. Esmeralda è un bellissimo nome, non è un caso che sia stato il primo che mi è venuto in mente dovendo scegliere un nome con la E. Non volevo bistrattare il nome, ma piuttosto sottolineare come, a volte, nomi così belli vengano penalizzati da cognomi che poco si armonizzano con loro 😊 … aspetto di leggere la storia di AG2 😁

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  3. In merito al nostro corso da autodidatta, mi permetto di condividere anche qui un pensiero trovato in rete .
    – Nonna, come si affronta il dolore?
    – Con le mani, tesoro. Se lo fai con la mente il dolore, invece di ammorbidirsi, s’indurisce ancora di più.
    – Con le mani nonna?
    – Sì. Le nostre mani sono le antenne della nostra anima. Se le fai muovere cucendo, cucinando, dipingendo, suonando o sprofondandole nella terra invii segnali di cura alla parte più profonda di te. E la tua anima si rasserena perché le stai dando attenzione. Così non ha più bisogno di inviarti dolore per farsi notare.
    – Davvero le mani sono così importanti?
    – Si, bambina mia. Pensa ai neonati: loro iniziano a conoscere il mondo grazie al tocco delle loro manine. Se guardi le mani dei vecchi ti parlano della loro vita più di qualsiasi altra parte del corpo. Tutto ciò che è fatto a mano si dice che è fatto con il cuore. Perché è davvero così: mani e cuore sono connessi.
    I massaggiatori lo sanno bene: quando toccano il corpo di un’altra persona con le loro mani creano una connessione profonda. È proprio da questa connessione che arriva la guarigione. Pensa agli innamorati: quando le loro mani si sfiorano fanno l’amore nel modo più sublime.
    – Le mie mani nonna… da quanto tempo non le uso così!
    – Muovile tesoro mio, inizia a creare con loro e tutto dentro di te si muoverà. Il dolore non passerà. Ma si trasformerà nel più bel capolavoro. E non farà più male. Perché sarai riuscita a ricamarne l’essenza.
    (Elena Bernabè)

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