Cena di classe …

ed è subito ansia.

Una vita, decisamente una vita che non vedo e sento i  compagni della mia classe al liceo. Ci  salutammo una mattina di inizio luglio davanti ai quadri, esposti nell’androne della scuola,  commentando i voti della maturità e non ci siamo più ritrovati. Quel giorno le nostre strade si divisero per sempre ed ognuno di noi si avviò ad inseguire i suoi  sogni. Non siamo mai stati una classe particolarmente unita, quindi non cercarsi più, in tutti questi anni, è stato naturale. Di alcuni di loro mi sono anche dimenticata nomi e volti, anche la mia compagna di banco, di tutti e cinque gli anni, è svanita nel nulla, non l’ho mai incontrata nemmeno per caso.

Poi, un pomeriggio all’improvviso, mi ritrovo in un gruppo Whatsapp ed eccoli che riappaiono tutti, come se non fosse passato nemmeno un giorno.
Vogliono organizzare una cena di classe. Scrivono, scrivono di ricordi, momenti che abbiamo vissuto, parlano tra loro come se fossero ancora in classe, mi sento un pesce fuor d’acqua.
Non ricordo nulla o quasi nulla, per tanti motivi, benchè il liceo mi sia piaciuto molto, ho rimosso quegli anni, non li ho mai ritenuti  il  periodo più interessante della mia vita.

Ho imbarazzo a scrivere nella chat della “mitica sezione” e non posso non chiedermi cosa avesse di mitico.  Mi sento lontana da loro, ero timida allora e mi ritrovo, almeno con loro, timida anche oggi.
Non so cosa hanno fatto in tutti questi anni, non conosco i loro traguardi, non so se hanno dei figli, dei mariti, delle mogli, non so se ho voglia di rivederli, di passare una serata con loro, di raccontargli di me. Forse è la paura di confrontarmi con la me di allora, sono in ansia. No, non so se parteciperò alla cena, che senso può avere dopo tutti questi anni?

Arriverà la fine ma non sarà la fine, sarà un gruppo WhatsApp degli ex compagni di scuola.
(dudek_kvar, Twitter)

Storia di “EL”

Faccio una breve premessa. Il racconto che segue e il precedente della mia socia, L’evento, nascono da un esercizio che ci chiedeva di giocare con le lettere e i numeri di una targa: usare le lettere per il nome di un personaggio, i numeri per l’età, il colore per stabilire il sesso, nel nostro caso donna, e, quindi, inventare una storia.

La mia socia ha preso l’esercizio seriamente, io ho cazzeggiato, ma ultimamente ho bisogno di essere poco seria.

Storia di “EL”

EL, è così che la chiamano tutti da quando è nata ed anche se il suo nome è Esmeralda Lombardozzi lei preferisce di gran lunga essere EL. Veloce, immediato, diretto, perché un conto è dire “Piacere sono EL”, altra cosa dire “Piacere sono Esmeralda Lombardozzi”.  Da piccola, in particolare, odiava dirlo tutto per intero tanto che alla fine doveva sempre riprendere fiato per la fatica nel pronunciarlo. Inoltre, prima di essere Esmeralda, era stata Meradda, Emmeradda, Smeradda e c’erano voluti milioni di tentativi per diventare E s m e r a l d a, mentre essere EL era stato semplicissimo ed anche ora, ormai grande, continuava ad evitare il più possibile “Esmeralda Lombardozzi”.

È una buffa storia del perché la chiamino EL. È sicuramente vero che EL sono le iniziali del suo nome e cognome, ma ciò successe per una serie di strane coincidenze che diedero vita ad una vicenda tragicomica che coinvolse suo padre, Emilio Lombardozzi, il giorno in cui accompagnò sua moglie, in preda alle doglie, in ospedale per partorire.

I due non arrivarono in tempo ed Esmeralda nacque al semaforo di un incrocio tre isolati prima dell’ospedale, in mezzo al traffico ed ai clacson strombazzanti, con un’auto straniera, con la sigla EL nella targa, ferma davanti a loro che bloccava tutto. La signora alla guida aveva terminato la benzina.

A nulla erano valsi i tentativi poco pacifici di papà Lombardozzi di far capire alla signora che aveva fretta e che l’auto in qualche modo andava spostata. Oltre non capire, non voler scendere e nemmeno voler aprire la portiera, alle urla del sig. Lombardozzi “EL42 spostati mia figlia sta per nascereee!!!”, lei spaventata rispondeva soltanto “Police! Police!”

Con quell’auto piantata li, che non andava né avanti né indietro, bloccato nell’ingorgo del semaforo, con la signora Lombardozzi che urlava di non farcela più e che la bambina stava per nascere, Emilio Lombardozzi, che continuava a gridare “EL accidenti spostati, EL ma che fai togliti dal cazzo!”, divenne padre. Un vagito, insieme alle grida della signora Lombardozzi “EL brutta imbecille resta pure dove sei … è nataaaa!”, glielo annunciarono e, dopo aver replicato “E’ nata?” – mentre guardava quella bimba minuscola adagiata sul tappetino dell’auto tutta sporca e con il cordone ancora attaccato alla mamma – iniziò a ripetere quello che diventò il mantra che da ben 42 anni ripeteva ad ogni successo di EL “EL è fatta!”, per fortuna EL era una salutista, non beveva e non fumava, perciò nessuno aveva motivo di fraintendere il mantra del papà.

Si, era fatta! La bimba era nata, furono gli operatori dell’ambulanza accorsa sul posto a tagliarle il cordone ombelicale, sollevarla, avvolgerla con un lenzuolino, soccorrere la mamma e portarle entrambe in ospedale, mentre il papà ancora sotto choc continuava a dire “EL è fatta!”

Fu il papà a scegliere Esmeralda quando gli fu chiesto che nome volevano darle. Era sicuro che quel batuffolino rossiccio come la mamma, da grande, avrebbe avuto anche gli occhi verdi come la mamma, verdi come uno smeraldo, ma si sbagliò di grosso, gli occhi si rivelarono castani. Non poteva, inoltre, dimenticare la coincidenza delle lettere sulla targa dell’auto ferma davanti alla loro “EL” “Emilio Lombardozzi” “Esmeralda Lombardozzi”. No, non si poteva non tenerne conto. Suo papà e sua mamma credevano molto alle coincidenze, al destino e riuscivano a trovare un senso anche alle casualità più strane, mentre lei diceva di essere EL a causa di un pieno di benzina mancato.

Cosa era passato per la testa dei suoi genitori per scegliere quel nome? Se doveva essere un nome che iniziava per E ce n’erano sicuramente di più semplici: Elena, Edera, Elisa … ecco avrebbe voluto essere Elisa, Elisa Lombardozzi … più semplice, elegante anche se con quel cognome trovare l’eleganza non era facile e poi conosceva un’Elisa molto carina e dolce; si avrebbe proprio voluto essere Elisa. Insomma Esmeralda è un nome impegnativo e le sembrava stonato ed anche troppo lungo vicino a Lombardozzi ed inoltre, a dirla proprio tutta, pensando alla triste sorte dell’Esmeralda di Victor Hugo, le veniva da pensare che portasse anche un po’ sfiga. Dio come odiava questa cosa di dare un nome ai figli senza tenere conto del cognome, non che dovessero fare coppia nome e cognome, non avrebbe mai chiamato una figlia Rosa se il cognome fosse stato Chiappa, ma un po’ di armonia tra loro doveva esserci.

È il giorno in cui il marito, Enrico Taddei, la sta accompagnando in ospedale per dare alla luce il loro primo figlio, quello in cui EL, dopo aver notato, proprio davanti a loro, un’auto con la targa che inizia con ET84, ripensa alla storia della sua nascita come, tante volte, le è stata raccontata. Sorridendo pensa a quanto sa essere bizzarra la vita, ma nemmeno la più strana delle coincidenze potrà mai convincerla a dare a suo figlio i nomi Eugenio, o Ettore, o Ernesto, o qualsiasi altro con la E, è inimmaginabile una vita da ET!

Le lettere del proprio nome hanno una terribile magia, come se il mondo fosse composto di esse. Sarebbe pensabile un mondo senza nomi?

(Elias Canetti)

N.b.: ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale, il tutto è frutto della mia immaginazione.

Colori

Giallo, arancio, rosso … e arancio scuro … e rosso … e di nuovo arancio e poi giallo  e poi rosso e …

E potrei perdermi dietro a tutto ciò …

E non mi interessa sapere se il momento è giallo, arancio o rosso, poco cambia dall’uno all’altro.

Mi interessa solo non dimenticare quante sfumature di colori esistono ancora con cui dipingere le nostre vite.

Ogni nuovo mattino, uscirò per le strade cercando i colori.
(Cesare Pavese)

Tutta colpa di Shakespeare

dammi tre parole: bacio, luna, tempo suggerite da raccontidialiantis

“Se per baciarti dovessi poi andare all’inferno, lo farei. Così potrò poi vantarmi con i diavoli di aver visto il paradiso senza mai entrarci. (Shakespeare)” “Anche non fosse di Shakespeare, ma di qualc’un altro potrebbe, comunque, avere ragione” pensa Giulia continuando a fissare il telefono “Deprimente che alla mia età, quasi trent’anni, non abbia mai baciato qualcuno da poter dire di aver visto il paradiso”

Ne ha dati di baci Giulia, non è più una ragazzina ed ha avuto le sue storie, ma è convinta di non aver mai dato quello giusto, quello che ispirerebbe la più bella delle poesie o la frase di cui tutti si vorrebbero appropriare per dire “Si è così! Lo posso confermare e non avrei saputo descriverlo meglio” Sicuramente non sarà lei a scriverla e dovrà continuare, tramite i racconti di altri ad immaginare le sensazioni che il bacio giusto, nel momento giusto, ma soprattutto con la persona giusta possa dare, nemmeno nei sogni le è mai capitato.

Chiude il telefono stanca di scorrere le numerose citazioni, frasi e aforismi che popolano i profili social dei suoi amici e si alza dal divano per andare verso la libreria, da uno sguardo veloce ai titoli dei libri, ma non trova quello che le dice “Leggi me! leggi me!”

“Non è giornata, sono troppo distratta, confusa, stanca, annoiata” pensa mentre prende il cappotto dall’appendiabiti nel corridoio, lo indossa ed esce a fare una passeggiata.

“Forse incontro Saverio e facciamo due chiacchiere è un pò che non lo sento” si dice mentre varca il portone del palazzo per trovarsi subito in strada con il pensiero fermo su Saverio, l’altro suo punto debole e si avvia in direzione dei giardini pubblici poco distanti.

La luce sta cambiando, il sole saluta quel giorno tingendo il cielo di molteplici sfumature arancio, rosa, giallo, blu da renderlo incantato. Con lo sguardo in su, senza riuscire a distogliere l’attenzione da quei colori, si addentra nei giardini. Il crepuscolo della sera e quello del mattino, quando il sole gioca a fare il pittore, sono i momenti della giornata che preferisce.

“Bello spettacolo vero?” esclama qualcuno avvicinandosi “Saverio! Sei qui!” esclama Giulia, riconoscendo la voce e continua “Speravo di incontrarti” “Lo sapevo, come so che è il tuo momento preferito per camminare, per cui eccomi!” le risponde abbracciandola “Ok sul mio momento preferito, ma non potevi sapere che speravo d’incontrarti” replica Giulia ridendo e rispondendo all’abbraccio “In effetti no o forse sì o forse è quello che speravo io” continua lui senza, però, liberarla dall’abbraccio “Ho voglia di chiacchierare un po’ con te” gli risponde lei restando tra le sue braccia.

Ogni volta che lui l’abbraccia Giulia sta bene in quell’abbraccio, si sente viva, al sicuro, quasi a casa e vorrebbe che non finisse mai, ma non capita spesso che lui lo faccia.

“Vuoi parlare di qualcosa in particolare o parler pour parler?” chiede Saverio sfoggiando una della poche frasi di francese che conosce e mettendo un’eccessiva enfasi sulla erra “Mais oui mon ami qualche chiacchiera tra amici” cinguetta Giulia “Bien mia cara, scegli un argomento, sono a tua disposizione” “Scegli un argomento? Come stai? Che hai fatto? Sei felice? Non possono andare per cominciare?” e ride “Hai ragione!” Saverio pensa un attimo “Se sei felice, è di questo che vuoi parlare” “Si” gli risponde Giulia avvicinandosi un pò più a lui “Allora dimmi luce dei miei occhi, sei felice?”

“Luce dei miei occhi … e questa da dove esce?” dice Giulia ridendo divertita “Perdonami mi è uscita così, lo so è ridicola” “Ma no dai è divertente” “Ok! ok! Non vuoi farmi sentire un idiota e per questo ti adoro” dopo una pausa, serio le chiede “Sei felice Giulia?” “Non lo so, forse sì, forse no. Ho un lavoro, una casa tutta mia, posso andare in vacanza dove voglio, eppure sento che mi manca qualcosa, mi sento incompleta o forse non abbastanza viva o forse, bo non saprei proprio. Comunque se oggi sto così è tutta colpa di Shakespeare” “Shakespeare?!” chiede Saverio sorpreso “È venuto a trovarti? Ti ha offesa o importunata? Dimmi subito che vado a cercarlo e gliene dico quattro” lei scoppia a ridere “No non mi ha importunata, mi ha solo fatto riflettere sulla mia vita amorosa” Saverio la guarda cercando di leggere qualcosa in più nei suoi occhi e le chiede “Forse la tua vita amorosa ha qualcosa che non va come la mia?” “Cosa ha la tua che non va?” domanda lei incamminandosi di nuovo “Pensavo lo sapessi?” le risponde Saverio camminandole a fianco “Cosa dovrei sapere?” insiste a chiedere Giulia “Del mio amore non corrisposto … almeno credo” “Oh come mi dispiace Saverio. Chi è l’idiota che non corrisponde il tuo amore? Non capisce nulla! Sei fantastico, sei l’uomo perfetto da amare, credimi” “Dici davvero?” – “Certo! Guardati, sei un bell’uomo, simpatico, gentile, sai ascoltare, devi solo avere fiducia in te stesso” e gli da un colpetto di incoraggiomento su un braccio “Forse hai ragione, ma lasciamo stare me e dimmi cos’ha che non va la tua vita amorosa” – “Tutto!” e tutto d’un fiato continua “Intanto sono sola e non dirmi potresti prendere un gatto, non è quello che voglio. Vorrei innamorarmi, anche se forse lo sono ma …” ha un attimo di esitazione poi prosegue “Insomma vorrei provare sensazioni forti e vorrei essere disposta ad andare all’inferno pur di provarle. Mi capisci?” “Non proprio, ma immagino che il tuo andare all’inferno abbia a che fare con Shakespeare” “Esatto! Oggi mi sono scazzata dopo una sua poesia, che forse nemmeno ha scritto lui, ma non importa, mi sono scazzata lo stesso ed ho iniziato a pensare che non ho mai baciato nessuno al punto di sentirmi in paradiso” “Davvero?” le chiede Saverio “Si davvero!” e mentre l’ascolta parlare Saverio la osserva: quel viso, quei lineamenti, quella voce, quella donna gli piacciono da morire.

Si conoscono da più di un anno ormai, ma non è ancora riuscito a parlargliene.

Si erano incontrati al parco un giorno che lui era con Toby, il suo cane. Un piccolo incidente tra Giulia e Toby li aveva fatti conoscere, era nata così la loro amicizia e nei mesi si era consolidata . Si incontravano spesso passeggiando e ogni volta continuavano la camminata insieme chiacchierando, ridendo e scherzando, era diventato quasi un rito serale, ma senza nessun impegno preciso, chi c’era, c’era. Avevano anche bevuto qualche aperitivo insieme, consumato qualche cena al pub sotto casa di lei e si sentivano con dei messaggi via cellulare, ma tutto finiva lì, lui non trovava un modo per andare oltre. Giulia era riservata. Non si esponeva molto su sé stessa tranne in rare occasioni, come in quel momento, in cui si lasciava andare e, allora, si raccontava a ruota libera e lui si sentiva travolto da lei, impazziva dal desiderio per lei e si convinceva sempre più di amarla.

“Avere fiducia in te stesso” Saverio pensa alle parole che Giulia gli ha detto poco prima, si ferma un attimo e le dice “Dammi le mani” lei si gira verso di lui e gliele allunga subito, lui le prende e le stringe con forza tra le sue “Chiudi gli occhi” – “Perchè cosa vuoi farmi fare?” dice lei fingendosi preoccupata “Fidati” le risponde. E lei, che di Saverio si fida tantissimo, li chiude.

Aveva riposto la sua fiducia in lui fin da subito, dalla prima volta in cui lo aveva conosciuto. Era rimasta colpita oltre che dall’amore che lui aveva per il suo cane, che spesso li accompagnava nelle loro passeggiate e di cui anche lei, fin da subito, si era innamorata, dai modi educati e rispettosi che aveva con lei e dalla sua timidezza. Se non fosse stato per Toby che si era scontrato con Giulia facendola cadere, non si sarebbero mai conosciuti. Probabilmente Saverio, anche incrociandola spesso, oltre all’educato buongiorno con cui la salutava ogni volta, non le avrebbe mai rivolto altre parole, ma in quell’occasione non aveva potuto farne a meno, l’aveva soccorsa ed era stato gentilissimo e simpatico nel farlo. A volte non le sarebbe dispiaciuto se lui avesse osato di più con lei, ma non lo faceva e lei, pur essendo parecchio presa dalla loro amicizia, rispettava la sua scelta cercando di essere discreta e non invadente, non voleva perderlo per nessun motivo al mondo.

Giulia ad occhi chiusi e con le mani strette in quelle di Saverio aspetta, fa un passo quasi a voler camminare ma lui la blocca. Si sente strana, c’è un’intensità diversa tra loro due quella sera “Ferma non ti muovere, non andiamo da nessuna parte e resta ad occhi chiusi”- “Ok sarò immobile”- “Bene” dice Saverio cercando di nascondere una certa emozione. Poi si avvicina con il volto a quello di lei, sente il suo respiro sfiorargli le guance e pensando di nuovo “Abbi fiducia in te stesso” le lascia le mani per tirarla verso sé e appoggiare le labbra a quelle di Giulia che è sorpresa, ma non si tira indietro, anzi si avvicina ancora di più lasciando che le sue labbra si rilassino al contatto con quelle di lui. Le dischiude leggermente per invitarlo ad osare di più e lui ne approfitta subito.

Giulia è travolta da un’infinità di sensazioni. Più lui insiste con il bacio, più lei si sente coinvolta, ma non è solo un coinvolgimento fisico, c’è molto di più. Mentre il suo cuore esplode, la sua mente si libera e tutte le paranoie improvvisamente non ci sono più, sono svanite lasciando spazio solo a pensieri su loro due, a momenti di loro due, a cose dette tra loro due che giacevano sopite in attesa di qualcosa che le portasse alla luce e quel qualcosa è arrivato “Sarò in paradiso?” si domanda Giulia che socchiude gli occhi un istante per accertarsi di non sognare. Il crepuscolo ha lasciato spazio al buio, ma il chiarore della luna alta nel cielo, le consente di vedere i lineamenti rilassati di Saverio. Per un’istante apre gli occhi anche lui, ma senza lasciare la sua bocca, i due sguardi colmi di passione si incontrano, poi entrambi tornano a baciarsi. Nessuno dei due vuole perdere altro tempo, hanno aspettato ed indugiato fin troppo a lungo per trovarsi. E, mentre continua a sciogliersi tra le braccia di lui, Giulia pensa “William credo di essere in paradiso … ti racconterò” e si stringe più che può a Saverio che, ormai sicuro di se, non sente nemmeno il bisogno di respirare, ma solo quello di baciarla.

Penso positivo …

Questa mattina un post su Fb della mia amica di blog, mi ha fatto annegare nella malinconia. Si tratta di un video fatto ad un concerto che andammo a vedere insieme il 27 febbraio del 2018 a Milano, uno di quei ricordi che ogni giorno propone Fb. Nel video Jovanotti canta “Penso positivo” e lei nel post ha scritto “Penso positivo”.

Ha ragione, sicuramente l’unico modo per superare questo momento è pensare positivo e lo faccio, eccome se lo faccio. Ogni giorno mi sforzo di vedere il bicchiere mezzo pieno, ma oggi no, non ci sono riuscita, quel video mi sta facendo pensare solamente a quanto mi sta e ci sta togliendo questo maledetto virus.

È quasi un anno che non vedo mio figlio e questa è la mancanza più grande, si ci sentiamo al telefono, facciamo delle lunghe videochiamate, ma non è la stessa cosa di quando siamo insieme. Lo schermo toglie molto ad una chiacchierata dal vivo con chi si ama, è soltanto “meglio che niente”.

E poi? Mi manca il mare, nuotare nel mare, camminare sulla riva all’alba. Partirei a piedi pur di andare a fare un bagno in mare.

Vorrei tornare al cinema e vedere un film sprofondata nella poltrona con gli effetti speciali quasi realistici e l’audio che mi avvolge. Potrei anche a tollerare il vicino che mangia i pop corn pur di farlo.

Vorrei andare a teatro, seguire una commedia dal vivo, emozionarmi dal vivo, partecipare agli applausi, chiedere il bis. Anche se fosse il teatro parrocchiale e la compagnia fosse “La compagnia teatrale dei genitori instabili”

Vorrei andare ad un concerto ridere, saltare, ballare, cantare insieme alla mia socia, anche se non fosse un concerto di Jova o Zucchero o Antonacci purché sia un momento in cui la musica la fa da padrona. Fosse anche un concerto di Gigi D’Alessio, che mi fa venire l’orticaria, tanto partirei.

Quando ci sarà restituito tutto questo?

Penso positivo e mi dico “Presto!”, nonostante sappia che il presto durerà ancora molto.

video rubato dal profilo fb della mia socia 😀

L’invisibile ragno della malinconia stende sempre la sua ragnatela grigia sui luoghi dove fummo felici e da dov’è fuggita la felicità”
(Boleslaw Prus)

p.s.: immagine in evidenza: insieme alla mia socia, ovviamente ad un concerto.

Ci risiamo!

Da domani la mia città, anzi tutta la provincia sarà di nuovo zona rossa. Ormai da giorni si sapeva del numero dei contagi in crescita esponenziale, ma soprattutto della preoccupazione per la presenza delle varianti inglese e brasiliana, perciò il nuovo lockdown in zona rossa non mi ha sorpresa affatto.

Il primo lockdown di marzo ci toccò perché era nazionale e indiscriminato. Se allora si fossero usati gli stessi criteri, probabilmente saremmo stati giallo chiaro. Infatti in Umbria i casi non furono moltissimi e, nel giro di poco tempo, scesero a zero. Della cosa i miei conterranei iniziarono a vantarsene sui social “perché il distanziamento sociale l’emo ‘nventato noi” dando il via a tutta una serie di meme

l’umbro, ma oserei dire il perugino, n’dà confidenza manco nei giorni di festa, ùsta n’tol suo,

n’vòle tante nanne e tanta gente intorno,

n’te saluta manco si te conosce da ‘na vita e te viene a sbatte pel corso,

è rustico de’ natura…

e vi par che non si sarebbe trovato alla grande con il distanziamento sociale??

l’emo inventato noi…da sempre…”

che posso certificare essere veritieri, senza capire, invece, che avevamo avuto solo un gran culo.

“Culo” che, a quanto pare, da settembre in poi, ci ha abbandonati. Nemmeno avere inventato il distanziamento “asociale” è stato d’aiuto. Siamo stati così asociali che il virus lo abbiamo anche importato dall’estero.

Il problema, infatti, non è solo la distanza asociale, ma il rispetto delle regole anche se le regole, forse, sono troppo flessibili da far rispettare.

Nell’ ultimo periodo di zona arancione “lo stato di necessità” ha concesso di  poter fare di tutto, anche andare nei negozi del comune limitrofo se era una necessità.  In pieno lockdown arancione si andava dal restauratore in un altro comune perchè la vetrina o la sedia restaurata erano una necessità impellente. Vicino al restauratore c’era l’antiquario, “un giro li non potevo non farlo!”. Poco più in la, magari, il rigattiere “Ci trovo sempre cose interessanti” oppure comprare la farina di grani antichi macinata a pietra nel mulino del comune più lontano, perchè “fare le tagliatelle con la farina del supermercato sotto casa mi sembrava brutto” … tutte scuse che ho sentito usare per necessità.

E durante il lockdown rosso? Natale, fine anno, befana? Sono stati fatti pranzi e cene in famiglia come nulla fosse   “Il virus ce l’hanno gli altri mica noi!” Ovviamente senza mancare di invitare le 2 persone concesse per legge “Vi mandiamo l’invito su whatsapp e potete venire” a due lo manda lui, a due lo manda lei, sempre due sono “No grazie preferisco continuare a fare l’asociale”

Non so per l’ intercessione di quale santo o demone mia suocera, soggetto immunodepresso, verso cui abbiamo avuto sempre innumerevoli attenzioni,  non sia stata contagiata dopo aver partecipato al brindisi di fine anno a casa della vicina che aveva riunito figli, nipoti e pronipoti. Dopo una settimana erano tutti positivi e, tranne i pronipoti, tutti con sintomi. Mia suocera grazie al tampone negativo se l’è cavata con quindici giorni di quarantena insieme ad una bella paura che spero le servirà, almeno, per diffidare dei futuri brindisi anche con i conosciuti.

A causa di tutto ciò, dei pochi controlli e della grande disorganizzazione, da domani ci risiamo!

Grazie asociali non vedevo l’ora di altri quindici giorni di lockdown!

Storia d’amore

Aperta la porta il suo sguardo cadde sul grande tappeto persiano al centro del salone. Un cagnolino, che ad occhio stimò sui 20 cm, vi camminava sopra a stento. Non appena la vide si diresse verso di lei.
“No non posso” pensò guardandolo tra il terrorizzato e il tenero “non posso portarlo a casa. Adesso è piccolo, è tenero, ma poi cresce, diventa gigantesco, cattivo e mi morde” fece qualche passo indietro come per andarsene “Mamma! Mamma! Guarda cha carino, portiamolo a casa dai!” gridarono in coro i suoi figli entrati dietro di lei “Bambini non posso, lo sapete ho troppa paura, non ce la posso fare” “Si mamma ce la farai! E poi non dovrai fargli nulla ci penseremo noi”. Non sapeva cosa fare, sapeva che se avesse accontentato i bambini adottando quel cucciolino, di cui altri cercavano di disfarsi, in casa sua sarebbe scoppiata una guerra. Suo marito non voleva, lei aveva paura. Non lo avrebbe mai toccato o preso in braccio e lasciare tutta la responsabilità di accudire ed educare un cane a dei bambini era da incoscienti. Mentre tutti i suoi film mentali di morsi o aggressioni si affollavano e scorrevano veloci i bimbi erano già sul tappeto che giocavano con il cucciolo. Erano felici, ridevano, saltavano. Li osservò a lungo e disse “E come vorreste chiamarlo?” “Lucky con il CK mamma! Quindi lo prendiamo?” “Si anche se non so quanto sarà fortunato, io non ne voglio sapere nulla, non lo toccherò mai, non lo porterò fuori ed il papà si arrabbierà tantissimo con me, perché ve le do sempre tutte vinte e perché ha detto chiaramente che non vuole un cane in casa”
Era inverno, fuori era molto freddo, avvolsero il cucciolo in un panno, lo misero in una scatola da scarpe ed uscirono. Il più grande dei bambini teneva la scatola molto saldamente perché non capitasse nulla a quel tesoro prezioso.

È così che iniziò l’avventura della mia famiglia con il nostro amatissimo “Lucky con  il CK” che dopo 17 anni di amore incondizionato quest’oggi ci ha lasciati tra le carezze e le coccole, travolto dall’affetto di tutti noi che non riuscivamo a staccarci da lui.

Lucky, in questi diciassette anni, mi ha e ci ha insegnato molto. Innanzi tutto cos’è l’amore. I suoi occhi ne sono sempre stati pieni, strabordavano di amore. Amore puro, incondizionato, un amore immenso dato in cambio di una carezza, un sorriso, una coccola, un croccantino, un nulla. Si! Ci amava anche quando non avevamo nulla per lui. Gli bastavamo noi, con i nostri pregi e difetti, anche solo la nostra presenza silenziosa era per lui motivo di felicità.

Ci ha insegnato il valore dell’amicizia, sempre pronto ad accogliere chiunque con il suo scodinzolio e le sue feste. Ci  ha insegnato ad apprezzare chi è diverso da noi grazie alla sua amicizia con i gatti di mia sorella e ad ogni cane di qualsiasi colore o razza che incontrava, lui scodinzolava sempre a tutti, voleva giocare, correre insieme a loro. Ci ha insegnato il valore dell’accoglienza quando, ormai grande, ha visto arrivare in famiglia un nuovo cucciolo. Lo ha accolto con amore, facendogli da nonno e condividendo, ogni volta che il cucciolo veniva a trovarci, i suoi spazi con lui.

Lucky con l’amore che ci ha regalato a profusione e con i suoi insegnamenti ha reso la nostra famiglia una famiglia più ospitale con il prossimo, una famiglia più aperta e meno egoista.

Lui era “l’amore mio” ” il mio cucciolotto” … quando gli dicevo così le sue orecchie si addrizzavano e la sua coda non si fermava più. L’ho amato come non avrei mai pensato, è cresciuto, ma non è diventato enorme come credevo, ma anche fosse stato, lo avrei amato immensamente lo stesso. A me in particolare ha insegnato  l’amore per gli animali, in ogni cane che incontro non vedo più un potenziale pericolo, ma solo amore, tenerezza e dolcezza e non posso che essergliene riconoscente.
Lasciargli intraprendere il suo viaggio verso il ponte dell’arcobaleno è stato doloroso, ma poi quando ho guardato il cielo ed ho visto che aveva un colore stupendo, oggi era di un azzurro cangiante, si intravedevano altri colori, ho capito che è stato giusto così. È tornato a scorrazzare felice sui verdi prati, a giocare con i suoi amici fino a quando saremo di nuovo insieme.

Cosa posso dire?  È dolorosissimo separarsi da un amore così grande, ma è un amore che va vissuto per capirlo e per crescere umanamente e interiormente. Il mio consiglio è: non indugiate, non abbiate paura a far crescere i vostri figli con un cucciolo ne usciranno sicuramente molto forti e ricchi d’amore e ricevendo tanto amore disinteressato sapranno donarne altrettanto.

“L’amore per un cane dona grande forza all’uomo” (Seneca)

Buon Natale …

Ci siamo quasi, il Natale è dietro l’angolo.

Avevo deciso che non lo avrei festeggiato, che non avrei fatto l’albero e non avrei addobbato la mia casa da perfetta natalosa che sono “Tanto non verrà nessuno, i ragazzi non ci saranno”, mio marito si è rifiutato di assecondarmi in questa deriva di tristezza natalizia e in un batter d’occhio, a differenza degli altri anni in cui lo dovevo implorare perchè andasse a prendere gli addobbi in garage, un giorno, rientrando in casa, ho trovato tutti gli scatoloni pronti nel mio soggiorno … mi ha praticamente costretta: o passavo il Natale con gli scatoloni in casa o davo forma al tutto. Ramo, dopo ramo, lucina dopo lucina, il mio albero ha preso forma, le palline sono andata al loro posto, i carillon hanno iniziato a suonare ed ora sono felice di non averlo deluso, né lui né il mio pelosetto che, ormai anziano e malato, sembra stia apprezzando molto il clima natalizio.

Un augurio a tutti voi di Buon Natale, forse non sarà un Natale di grandi feste, di luci scintillanti, di tanti doni, sarà sicuramente un Natale più intimo, più familiare e spero sarà l’occasione di riscoprire il vero significato di questa festa.

“Il Natale non è un tempo, né una stagione, ma uno stato d’animo” (Calvin Coolidge)

Refendum 2 punto 0

Tempo fa ho scritto un articolo che si intitola Referendum dove ho tentato di esprimere un mio timore, oggi ho letto questo articolo, forse il mio timore non era poi così infondato.

Referendum 2 punto 0

Volete sostituire il parlamento con una piattaforma digitale che sarà la massima espressione della democrazia?

“È meglio la peggiore delle democrazie della migliore delle dittature.” Sandro Pertini