Una vita, decisamente una vita che non vedo e sento i compagni della mia classe al liceo. Ci salutammo una mattina di inizio luglio davanti ai quadri, esposti nell’androne della scuola, commentando i voti della maturità e non ci siamo più ritrovati. Quel giorno le nostre strade si divisero per sempre ed ognuno di noi si avviò ad inseguire i suoi sogni. Non siamo mai stati una classe particolarmente unita, quindi non cercarsi più, in tutti questi anni, è stato naturale. Di alcuni di loro mi sono anche dimenticata nomi e volti, anche la mia compagna di banco, di tutti e cinque gli anni, è svanita nel nulla, non l’ho mai incontrata nemmeno per caso.
Poi, un pomeriggio all’improvviso, mi ritrovo in un gruppo Whatsapp ed eccoli che riappaiono tutti, come se non fosse passato nemmeno un giorno. Vogliono organizzare una cena di classe. Scrivono, scrivono di ricordi, momenti che abbiamo vissuto, parlano tra loro come se fossero ancora in classe, mi sento un pesce fuor d’acqua. Non ricordo nulla o quasi nulla, per tanti motivi, benchè il liceo mi sia piaciuto molto, ho rimosso quegli anni, non li ho mai ritenuti il periodo più interessante della mia vita.
Ho imbarazzo a scrivere nella chat della “mitica sezione” e non posso non chiedermi cosa avesse di mitico. Mi sento lontana da loro, ero timida allora e mi ritrovo, almeno con loro, timida anche oggi. Non so cosa hanno fatto in tutti questi anni, non conosco i loro traguardi, non so se hanno dei figli, dei mariti, delle mogli, non so se ho voglia di rivederli, di passare una serata con loro, di raccontargli di me. Forse è la paura di confrontarmi con la me di allora, sono in ansia. No, non so se parteciperò alla cena, che senso può avere dopo tutti questi anni?
Arriverà la fine ma non sarà la fine, sarà un gruppo WhatsApp degli ex compagni di scuola. (dudek_kvar, Twitter)
Siete pronti domani ad aprire i cassetti e tirare fuori i vostri sogni?
Sempre che li teniate nei cassetti! Vanno bene anche quelli nell’armadio se li tenete li, spostate gli scheletri e tirate fuori i sogni, magari sbatteteli un pò per togliere la naftalina, se poi li tenete in un barattolo, una scatola o sottovuoto sono validi lo stesso, purché siano sogni.
Ebbene si, domani, 25 settembre 2020, si celebra la giornata mondiale dei sogni, quindi sognatori di tutto il mondo organizzatevi e festeggiate.
Potrete rispolverare i vostri sogni migliori, quelli già usati, quelli che hanno preso di spunto o crearne di nuovi oppure, se proprio non avete un sogno, provate a prenderne in prestito, almeno uno, da chi ne ha troppi, anche se troppi non lo sono mai.
Potrete condividerli con chi amate, con gli amici, o goderveli da soli.
Domani sarete liberissimi di sognare come volete e se qualcuno di quegli esseri realisti e con i piedi ben piantati per terra vi farà qualche osservazione mandetelo al diavolo, la celebrazione della giornata ve lo concede.
Sognate ad occhi aperti, ad occhi chiusi, con la testa tra le nuvole o sul cuscino, ma date sfogo alla vostra fantasia.
Libratevi nel cielo come libellule, nuotate nel mare come delfini, scalate l’arcobaleno per cercare la pentola d’oro, sognate la casa dei vostri desideri o il viaggio perfetto, sognate ciò che vi stare bene e bandite la negatività, domani si sogna punto!
Sono un sognatrice, mi perdo spesso nei miei sogni e quando lo faccio sto bene. Ho sempre difeso i miei sogni, anche quelli impossibili, con forza e al motto di “toglietemi tutto, anche il mio Breil, ma non i miei sogni”, per inciso, qualcuno mi ha preso in parola e un giorno, mentre in treno tornavo dal lavoro, il Breil me l’ha tolto davvero, arrivata a casa non ce l’avevo più, sicuramente, stanca dalla giornata, appisolata stavo sognando.
Vi posso suggerire un sogno? Un sogno collettivo? Proviamo a sognare che questo maledetto virus se ne torni da dove è venuto, no, non in Cina, ma dai pangolini o i pipistrelli, nella giungla o in un laboratorio, insomma dove vuole purché si possa tornare a sognare con un pò di serenità.
E, se domani non potrete concedervi ai vostri sogni, potrete farlo dopodomani o dopodomani ancora, in fondo ogni giorno o momento sono buoni per sognare.
“Prima sogno i miei dipinti, poi dipingo i miei sogni.” Vincent Van Gogh
Il 2 settembre dovremmo partire per la Sardegna, io non voglio partire, ho paura, mio marito vuol partire perchè “sul covid in Sardegna stanno esagerando”. Se non ricordo male Briatore diceva, addirittura, che il covid non c’era. Ed ora, invece, gli toccherà un lockdown nella casa della Santanchè; due, anzi, tre disgrazie in una botta sola: il covid, il lockdown, la Santanchè.
“La nostra è una vacanza sicura” tuona mio marito. In effetti potrebbe esserlo andremmo a casa di amici e loro stanno bene “ma non vorrei essere io a portargli il covid” ribatto io, pensando che a 3 km da casa mia potrebbe esserci una potenziale zona rossa (800 persone in lista), di cui tutta la città parla, ma di cui ufficialmente non si sa nulla.
“E poi, con il Billionaire chiuso che andiamo a fare in Sardegna? Non possiamo nemmeno andarci a prendere un aperitivo 😁”
“Sai bene che noi al Bilionaire potremmo prendere solo il Covid”
“Vabbè io non vengo ho paura. Perchè se posso evitare debbo andare a rischiare?”
“Ho prenotato la cabina ci chiudiamo dentro e non avviciniamo nessuno” “Seee l’unico modo di viaggiare sicuro è andare a nuoto! Io non vengo punto”
“Sei esagerata! I nostri amici ci aspettano” “Parti da solo io non vengo e se torni positivo fatti ospitare dalla Santanchè”
Si partirà, anzi … partirà?
“Sei in vacanza quando la vacanza è dentro di te” (Liberamente)
“Antò fa caldo!” ve lo ricordate il tormentone del 2001 con il bell’Antonio che portava un bicchierone di thè fresco alla moglie spinto dalla speranza di scagliare qualcosa?
Ecco sono due giorni che mi frulla nella testa, ma immagino di non essere la sola. Tra il caldo che si fa sentire e il ferro da stiro che, ad un certo punto, diventa inevitabile accendere, sono due mattine che mi regalo bagni di calore intenso. E tra una camicia e l’altra ogni tanto mi ritrovo a dire “Antò fa caldo” ma di Antonio nemmeno l’ombra. Se voglio qualcosa di fresco debbo provvedere da sola.
In compenso, questa mattina ancora immersa nel mio bagno di vapore, sento affacciarsi qualcuno alla porta, ho subito pensato “Ohhh si il bell’Antonio”, era mio marito con la sua citazione del giorno “Tenetevi strette le donne che stirano d’estate” … direi un momento perfetto, uno di quelli in cui penso … “ma perchè proprio io?”
Buon caldo a tutti!
Quante cose fa il freddo: punge, morde, penetra, tempra, cinge. Il caldo è un essere grezzo che si accontenta di stendere. (Fabrizio Caramagna)
Moto, motorini, vespe, vesponi e, qualche volta, anche le biciclette, tutti mezzi a due ruote che mi terrorizzano.
La mia paura ha radici lontane, per le biciclette risale a quando ero bambina. In sella alla bici con una mia cugina, ci lanciammo per una discesa senza sapere che i freni non funzionavano. Ci schiantammo adosso ad un furgoncino che passava sulla strada incrociata dalla discesa. Fortunatamente ebbi il riflesso di buttarmi dalla bici all’ultimo momento, me la cavai con qualche escoriazione, qualche livido e il resto dell’estate dalle suore ad impare il ricamo, a mia cugina che era davanti andò peggio, o forse meglio? Prese il furgone in pieno si fece parecchio male, parecchi giorni a letto, ma scampò il ricamo. Stavamo giocando con dei bambini a meccanici e clienti, ovviamente noi eravamo le clienti, quindi, portammo ad aggiustare la bici per gioco, ma loro, ohibò, staccarono i freni per davvero.
La paura della moto, invece, risale all’unica volta, in quinto superiore, in prossimità degli esami di maturità, in cui marinai la scuola per una gita fuori porta con tutta la classe. Quella salina fu la decisione più audace della mia vita scolastica, anzi no, la più audace fu quando mandai a fancul il prof. di matematica, anche se, più che audace, quest’ultima fu un suicidio.
Comunque, arrivata alla fine, una salina me la potevo anche permettere, certa che se mi avesse scoperta mio padre, per il quale la scuola era sacra, la punizione sarebbe stata solenne. Organizzai, quindi, uno dei miei piani macchiavellici, cosa per me all’ordine del giorno se volevo godere di un pò di libertà, ma dimenticai di tener conto del fatto che quando il diavolo fa le pentole, dimentica i coperchi. Fu così che, dopo essermi fatta convincere da un mio compagno (complice una cotta reciproca negli anni precedenti che lo rendeva degno di fiducia) a salire in moto con lui per andare alla gita fuori porta, nel bel mezzo della campagna cademmo con la moto che, pare, prese un sasso e si impennò. Moto rotta e lividi vari, non sto a dirvi la fatica per occultarli agli occhi dei miei genitori.
Capisco il fascino della moto, dell’avventura, ma che male quei lividi! Fu così che quel giorno misi la croce sui mezzi a due ruote.
Croce che non ho più tolto, nemmeno quando i miei figli, nelle fasi della loro crescita, mi hanno tempestata di richieste per motorini e moto, trovavo biglietti ovunque “Ci compri la moto?”, nel portafogli, sotto al piatto o al cuscino.
Ho sempre resistito stoicamente nel dire no, cedendo volentieri alle altre richieste (leggere cane), ma non alla moto.
Il secondo dei miei figli, quello già sposato, ha provato più volte a comprare la moto, ma sono sempre riuscita, finchè ha vissuto in casa, a deviare i suoi risparmi convincendolo ad utilizzarli per altri acquisti più importanti, tipo una casa. Andato a vivere a casa sua, non ha più pensato alla moto, almeno credevo.
Circa un mese fà, per un paio di giorni, è scomparso dagli schermi radar, nessuno sapeva dirmi dove fosse. Ero un pò preoccupata perchè stava vivendo un momento particolare. Il secondo giorno di assenza, ad un tratto, mi è arrivato su Whatsapp un suo msg che iniziava con “Cara mamma lo sai che ti voglio tanto bene …”
Allegata una sua foto alla guida di un furgone con le dita a formare il simbolo della vittoria … non ho nemmeno finito di leggere il messaggio strappalacrime, che avevo già immaginato nel furgone ci fosse una moto.
Ebbene si ho perso la mia battaglia.
Oggi, mentre ero in terrazza, l’ho visto sfrecciare in moto, aveva sua moglie dietro che si teneva ben ancorata a lui, erano davvero carini da vedere, lei aveva anche il casco con i cuoricini.
Non mi resta che sperare che siano prudenti, che la fortuna li assista, ma soprattutto che siano sempre felici e uniti, così come li ho visti oggi.
I rapimenti mistici più belli sono quelli col casco e il giubbotto da motociclista. (Fabrizio Caramagna)
Puntuale, sera dopo sera, arriva lui che, come musica per l’ anima, attenua ogni mia preoccupazione
“Sapete, è geniale questa cosa che i giorni finiscono. E’ un sistema geniale. I giorni e poi le notti. E di nuovo i giorni. Sembra scontato, ma c’è del genio. E là dove la natura decide di collocare i propri limiti, esplode lo spettacolo. I tramonti.” (Alessandro Baricco)
Questa mattina c’è un gran movimento nel condominio di fianco al mio.
Gli abitanti sono molto indaffarati e con le loro chiacchiere e il gran movimento, sono riusciti a svegliarmi. Ormai sveglia, non posso far altro che andare a vedere cosa stia succedendo.
Armata di cappuccino con tanta schiuma e ancora mezza rinco dal sonno (o forse completamente rinco) mi sistemo sulla sedia a dondolo in terrazza, il mio punto di osservazione privilegiato.
Il condominio è proprio davanti al mio balcone, all’inizio era un piccolo condominio, ma negli anni si è ampliato, i piani sono aumentati e ormai ha superato in altezza la mia palazzina, ovviamente, anche gli abitanti sono aumentati.
È un pò rumoroso, specialmente la mattina presto, come oggi. Alle prime luci del sole sono già in movimento, ma è una confusione piacevole da sentire, il risveglio della natura.
Sono di diverse etnie, qualcuno autoctono, altri migrati dal sud africa, ma convivono in perfetta armonia.
Son tutti li che corrono su e giù, un momento uno di loro è al primo piano, il momento dopo al terzo, si spostano anche nei condomini adiacenti, vanno e vengono senza sosta. Sembra stiano organizzando qualcosa di importante, canticchiano allegramente, qualcuno fischietta e qualcuno fa un suono strano che sembra un oboe, ma son tutti li indaffarati, saltellano su e giù in qua e in là, ogni tanto si fermano e si guardano intorno.
Penso si stiano preparando per un matrimonio, c’è anche il wedding planner che, dal suo punto di osservazione, si preoccupa che tutto proceda secondo i piani …
Direte “Perchè proprio un matrimonio?”
Perchè ascoltandoli mi è tornata in mente questa canzoncina che cantavo sempre ai miei figli “Nozze nel bosco” e prima di finire nel loop “la canzone che mi passa per la testa” vado a cercarmi altro da canticchiare, anche se, ormai, sarà molto difficile uscirne … “Nel bosco si sposarono l’allodolo e l’allodola … tutti gli ospiti canticchiavano molto lieti di esser li …”
sono quasi certa che a qualcuno verrà subito in mente il cotechino o le salsicce, qualcun altro penserà ai loro effetti benefici per la salute oppure alla fortuna che dovrebbero portare se mangiate durante il cenone di capodanno. Non so quanti di voi, invece, penseranno alle lenticchie prima che finiscano nel piatto, quando ancora sono nel campo quasi pronte per essere raccolte.
Nella mia regione e nello specifico nel Pian grande di Castelluccio, altopiano della catena dei Sibillini, al confine tra Marche e Umbria, ogni anno avviene la fioritura delle lenticchie e di tanti altri fiori come fiordalisi, papaveri, senape selvatica, camomilla bastarda, leucantemo, specchio di venere, che raggiunge il suo culmine verso fine giugno inizio luglio. Si tratta di uno spettacolo unico per gli occhi, un panorama arcobaleno che si estende per tutto l’altopiano, lo si potrebbe osservare per ore lasciando fantasticare la nostra mente in quel quadro impressionista che solo la natura può dipingere così bene.
Sembra che quest’anno sia in corso la più bella fioritura di sempre e questa è, proprio, la settimana perfetta per osservarla poiché sta raggiungendo il suo apice. Se siete impossibilitati quest’anno, vi consiglio di mettere la partecipazione a questo evento in agenda per il futuro, resterete sicuramente soddisfatti.
Fioritura 2020 (immagini rubate in rete, se riesco ad andare in settimana vedrete le mie)
Ovviamente la zona di Castelluccio non è famosa solo per la fioritura, ma è anche un’ottima località per una vacanza all’insegna del relax o dell’avventura; non mancano luoghi d’incanto da visitare, passeggiate da fare a piedi o in bicicletta o avventurarsi in deltaplano o parapendio per una visione dall’alto di tutto il comprensorio. Non meno divertente sarà lanciarsi in un avventuroso rafting, con salto di cascatella compreso, come facemmo anni fa io e la mia socia Quarantenastyle, nel fiume Corno poco distante, con a seguire panino con porchetta o coglioni di mulo e birra fresca, consumato nelle locali norcinerie.
Oggi delle semplici zucchine hanno avuto il potere di trasportarmi in un viaggio tra i ricordi e i sapori perduti. Ero intenta a farle a rondelle che mi è tornato in mente quando le preparava mia mamma, fresche appena colte dall’orto, e mia nonna che le diceva “Te cucinale pure, ma io non le mangio, mi fanno sentire freddo”.
Il freddo che sentiva mia nonna, in realtà era il ricordo di quando cucinava zucchine in tutti i modi per sfamare i suoi figli, non erano una famiglia benestante, lei era vedova ed aveva sei figli da crescere, le zucchine, in estate, insieme alle patate andavano alla grande, così raccontava lei. Ad un certo punto, quando la situazione migliorò, disse “basta zucchine” ed ogni volta che le venivano proposte “No grazie, mi fanno sentire freddo”, però non disse mai basta alle patate. Queste ultime in casa di mia nonna sono sempre state il piatto per eccellenza. Capitava spesso che con i miei cugini (oltre 11 monelli quasi tutti coetanei) ci trovavamo insieme a casa sua e lei in un batter d’occhio, se non c’erano i maritozzi con la Nutella, ci allestiva merende a base di patatine fritte (i dietologi infantili oggi griderebbero all’orrore). Le più buone che ricordo di aver mangiato. Quelle del Mac Donald o qualunque friggitoria “non si avvicinano nemmeno lontanamente alle patatine che friggeva la nonna”, parola di “cugini uniti”. Erano inimitabili, si! Avevano il sapore della felicità, dei giochi, del chiasso e dell’allegria. Gliele rubavamo man mano che friggeva e lei divertita, nella sua immensa cucina, ci inseguiva intorno alla tavola fingendo di volerle riprendere.
Tornando alle zucchine, benchè mia nonna non le mangiasse, quelle di mia mamma avevano il loro perchè. Che le facesse fritte o in padella con aglio e rosmarino o ripiene di carne erano sempre super e per quanto io mi possa adoperare a mettere in pratica i suoi suggerimenti, per il mio palato, i miei piatti a base di zucchine non sono mai all’altezza di quelli che preparava lei. Quando poi li assaggio, quasi, quasi fanno sentir freddo anche a me.
Mia mamma era una maestra nel cucinare qualsiasi cosa, lo faceva con passione. Quando voglio replicare qualche suo piatto cerco di rivederla in cucina mentre li prepara, e provo a rifare i suoi stessi passaggi, difficilmente sono soddisfatta del risultato. Nonostante ricevo complimenti dai commensali sento che il sapore non è lo stesso, si avvicina soltanto. Forse aveva qualche ingrediente magico o magico era il suo tocco.
Tra tutte le cose buone che preparava mia mamma, tra tutti i sapori perduti insieme a lei, ce n’è uno che non sono mai riuscita a replicare quello del “caffè-latte”, tanto semplice da fare ma tanto complicato da fare come il suo, che era perfetto! Era giusta la temperatura, il dosaggio del latte e del caffè e, poi, me lo versava in un bicchiere di vetro. Ho comprato la moka come ce l’aveva lei, lo stesso pentolino che usava lei per scaldare il latte e i bicchieri come i suoi, ma non sono mai riuscita a replicare lo stesso gusto, non riesco ad andarci nemmeno vicina. Per anni ho provato e riprovato a rifarlo, ma niente, ricetta ineguagliabile. Ogni tanto per consolarmi le telefonavo e le dicevo “Mami passo a prendere il caffè-latte da te” e la soddisfazione di berlo in sua compagnia era enorme. Solo dopo che lei, purtroppo, se n’è andata ho capito cosa avesse il suo caffè-latte in più del mio … l’aroma di coccole che, sicuramente, metteva di nascosto e quel sapore di casa natia che non si può dimenticare.
Ci sono momenti in cui una luce particolare ti avvolge e i ricordi si aprono, e all’improvviso senti l’aria di un altro luogo, di un altro mese, di un’altra vita. (Fabrizio Caramagna)
Non so se esiste il destino o se è solo casualità ciò che ci capita nella vita, ma in questo momento voglio credere che il destino esista.
Ieri sera stavo guardando alcune foto su instragram e mi sono accorta di avere la notifica di un msg, ho cliccato ed ho riconosciuto subito il nome. Una mia conoscenza di più di trenta anni fa che mi ha scritto “Il destino mi ha dato l’alloggio di servizio dove ho bei ricordi di un grande amico.”
Chi mi ha scritto si riferiva a tanti anni fa. A quando era un bimbo piccolissimo, il terzo figlio dei nostri vicini di casa, con cui i miei avevano un bel rapporto di vicinato e amicizia. Praticamente l’ho visto nascere, ricordo ancora sua mamma incinta e quando, appena nato, lo riportarono a casa dall’ospedale. Era un cicciottino biondo bellissimo, ci affezionammo subito tutti a lui, in particolare mio papà, il suo “grande amico”. L’alloggio di servizio, invece, era la nostra casa di allora che, ora, il destino ha voluto sia di quel bimbo, che sicuramente, ormai uomo con una famiglia tutta sua, è tornato in città.
Il bimbo passò molto tempo a casa nostra, ci giocavamo un po tutti, in particolare mio padre che comprò addirittura le costruzioni con cui farlo divertire, era il figlio maschio che non aveva avuto, potè abbandonare un pò le bambole con cui giocava insieme a me e mia sorella. Il piccolo voleva venire sempre da noi, abitavamo sullo stesso pianerottolo, per lui era una volata scappare da casa sua e suonare al nostro campanello. Cercava sempre mio padre o mia padre cercava lui, lo faceva giocare, gli leggeva delle storie e, crescendo, lo aiutò in qualche compito di scuola. Gli risentiva le tabelline, storia, lo aiutava ad imparare le poesie a memoria. Spesso il bimbo cenava anche con noi, era diventato quasi un fratello più piccolo.
Poi, quando aveva circa nove anni, la sua famiglia si trasferì altrove e, pian piano, si diradarono anche i contatti. Mio papà, nel corso degli anni, si era sempre informato su di lui e fu molto contento quando seppe che il bimbo, ormai grande, aveva intrapreso la sua stessa carriera lavorativa. Le ultime notizie lo davano trasferito in un’altra città.
Mio papà è venuto a mancare ormai da vent’anni e, poichè era lui che teneva i contatti, da allora non ho più avuto notizie del bimbo. Onestamente non ho più pensato a lui, fino a ieri sera quando ho letto il suo messaggio su instragram. È stata un’emozione molto forte, primo per l’ennesima conferma di che uomo meraviglioso sia stato mio padre e di quanti bei ricordi abbia lasciato in tante persone e poi, immediatamente, è tornata a farmi sorridere l’immagine di mio padre e del bimbo che sorridenti, seduti in mezzo alle costruzioni, giocavano insieme.
Essendo giorni che penso spesso a mio padre, dicendomi quanto lo vorrei vicino perchè i suoi consigli sono sempre stati preziosi ed in questo momento ne avrei proprio bisogno, voglio leggere tutto ciò come un segno del destino che ha cercato di dirmi qualcosa, non mi resta che capire cosa.