Sincronizziamoci!

“Sincronizziamo i cuori sullo stesso bpm
Silenzia il cellulare che non ti serve a niente
A meno che non ti serva fare una fotografia
Di noi che ci abbracciamo forte e poi decolliamo via”

canta il mitico Jova in Sabato. Cosa c’è di più bello quando si ama che sincronizzare i cuori sullo stesso battito? Nulla, purché oltre al battito non si sincronizzi altro. Già il battito dice molto di noi all’altro e non è affatto necessario rivelarsi troppo, lasciamo sempre un leggero alone di mistero che possa alimentare il desiderio di conoscersi sempre più, insomma riveliamoci un pò per volta, almeno non finisce subito (pessimismo da esperienze indirette).

Ma non deve aver considerato l’alone di mistero quel giovane che ha pensato di sincronizzare il suo Fitbit (orologio per sportivi che rileva tutti i tipi di performance, ma proprio tutti) con quello della sua ragazza. Sicuramente, dopo aver sincronizzato il bpm sulle frequenze accelerate, deve aver creduto che sincronizzare il Fitbit fosse doveroso, ma mai Fitbit fu più malandrino o subdolo.

Succede che una mattina, dopo che il giovane ha passato la serata fuori con gli amici, la dolce ragazza decide di preparargli la colazione, ma mentre è intenta a fare ciò si consuma la tragedia.

Arriva sul suo Fitbit una notifica “Congratulazioni! Il tuo ragazzo dalle 2 alle 3 ha fatto sesso con un’altra o altro”, no in realtà la notifica non dice questo, ma si congratula con il ragazzo per aver consumato, tra le due e le tre di notte, ben 500 calorie. Se, però, dalle due alle tre di notte non sei ancora tornato a casa e in quel lasso di tempo hai anche consumato 500 calorie ci sta che lei abbia letto “Ha fatto sesso”. Sta di fatto che la ragazza ha concluso la storia scrivendo “I shoved that breakfast where the sun doesn’t shine” (per la traduzione organizzatevi, si parla di parti intime e certe cose non le scrivo, in italiano ovviamente)

Ma io sono buona e ho quindi deciso di fare un ricerca per capire cosa avrebbe potuto fare il giovane dalle due alle tre di notte per consumare ben 500 calorie che non fosse “fare sesso”, perché non sempre la conclusione più ovvia è anche quella giusta.

Ed ecco qua, 500 calorie in sessanta minuti per:

  • Una corsa leggera a circa 8 km/h; gli si è rotta l’auto ed è tornato a casa correndo ma con molta calma … forzando un pò ci può stare si.
  • Nuotare ad un’andatura tranquilla; alle 2 di notte?no poco probabile, a meno che non sia un nuotatore professionista super fissato.
  • Un giro in bicicletta con un’andatura moderata; le città di notte sono belle e perchè no un bel giro in bici? … I approve
  • Salire e scendere le scale senza fermarsi; è sempre un su e giù, ma fatto in maniera diversa … uhm, più probabile l’altro su e giù.
  • Partita a beach volley in spiaggia; con gli amici di notte? Troppo buio per vedere dove finisce la palla … not approved
  • Pattinare sul ghiaccio o con i pattini a rotelle; se fossimo a New York un giro sulla pista di Central Park … sarebbe figooo! Approved o not approved that is the question
  • Un ballo scatenato; dalle 2 alle 3 di notte … possibile.
  • Navigare in canoa; (solo a titolo informativo: non è lo stesso per la navigazione in internet che richiede circa cinque o sette ore per bruciare 500 calorie) … da escludere sempre troppo buio!
  • Rassettare casa e se poi mentre rassetti ascolti la musica e balli con la scopa le calorie consumate aumentano; attività poco notturna e non fattibile fuori casa … bocciata.

Insomma secondo voi cosa potrebbe aver fatto il tipo in quei sessanta minuti? Voi come avreste giustificato quel dispendio di calorie?

Non so voi, ma io non ne ho idea, so, però, con certezza che sincronizzarmi non è per me, non perché abbia qualcosa da nascondere, ma perché non vorrei dovermi chiedere cosa nascondono gli altri … so che poi non mi limiterei ad una colazione nel …

Vi saluto la scopa mi ha appena chiesto un ballo, non posso sottrarmi, 500 calorie non sono da buttar via, anzi si sono proprio da buttar via … buon proseguimento a tutti!

Robin Williams in Mrs. Doubtfire

p.s.: la notizia è facilmente reperibile in rete

Tutta colpa di Shakespeare

dammi tre parole: bacio, luna, tempo suggerite da raccontidialiantis

“Se per baciarti dovessi poi andare all’inferno, lo farei. Così potrò poi vantarmi con i diavoli di aver visto il paradiso senza mai entrarci. (Shakespeare)” “Anche non fosse di Shakespeare, ma di qualc’un altro potrebbe, comunque, avere ragione” pensa Giulia continuando a fissare il telefono “Deprimente che alla mia età, quasi trent’anni, non abbia mai baciato qualcuno da poter dire di aver visto il paradiso”

Ne ha dati di baci Giulia, non è più una ragazzina ed ha avuto le sue storie, ma è convinta di non aver mai dato quello giusto, quello che ispirerebbe la più bella delle poesie o la frase di cui tutti si vorrebbero appropriare per dire “Si è così! Lo posso confermare e non avrei saputo descriverlo meglio” Sicuramente non sarà lei a scriverla e dovrà continuare, tramite i racconti di altri ad immaginare le sensazioni che il bacio giusto, nel momento giusto, ma soprattutto con la persona giusta possa dare, nemmeno nei sogni le è mai capitato.

Chiude il telefono stanca di scorrere le numerose citazioni, frasi e aforismi che popolano i profili social dei suoi amici e si alza dal divano per andare verso la libreria, da uno sguardo veloce ai titoli dei libri, ma non trova quello che le dice “Leggi me! leggi me!”

“Non è giornata, sono troppo distratta, confusa, stanca, annoiata” pensa mentre prende il cappotto dall’appendiabiti nel corridoio, lo indossa ed esce a fare una passeggiata.

“Forse incontro Saverio e facciamo due chiacchiere è un pò che non lo sento” si dice mentre varca il portone del palazzo per trovarsi subito in strada con il pensiero fermo su Saverio, l’altro suo punto debole e si avvia in direzione dei giardini pubblici poco distanti.

La luce sta cambiando, il sole saluta quel giorno tingendo il cielo di molteplici sfumature arancio, rosa, giallo, blu da renderlo incantato. Con lo sguardo in su, senza riuscire a distogliere l’attenzione da quei colori, si addentra nei giardini. Il crepuscolo della sera e quello del mattino, quando il sole gioca a fare il pittore, sono i momenti della giornata che preferisce.

“Bello spettacolo vero?” esclama qualcuno avvicinandosi “Saverio! Sei qui!” esclama Giulia, riconoscendo la voce e continua “Speravo di incontrarti” “Lo sapevo, come so che è il tuo momento preferito per camminare, per cui eccomi!” le risponde abbracciandola “Ok sul mio momento preferito, ma non potevi sapere che speravo d’incontrarti” replica Giulia ridendo e rispondendo all’abbraccio “In effetti no o forse sì o forse è quello che speravo io” continua lui senza, però, liberarla dall’abbraccio “Ho voglia di chiacchierare un po’ con te” gli risponde lei restando tra le sue braccia.

Ogni volta che lui l’abbraccia Giulia sta bene in quell’abbraccio, si sente viva, al sicuro, quasi a casa e vorrebbe che non finisse mai, ma non capita spesso che lui lo faccia.

“Vuoi parlare di qualcosa in particolare o parler pour parler?” chiede Saverio sfoggiando una della poche frasi di francese che conosce e mettendo un’eccessiva enfasi sulla erra “Mais oui mon ami qualche chiacchiera tra amici” cinguetta Giulia “Bien mia cara, scegli un argomento, sono a tua disposizione” “Scegli un argomento? Come stai? Che hai fatto? Sei felice? Non possono andare per cominciare?” e ride “Hai ragione!” Saverio pensa un attimo “Se sei felice, è di questo che vuoi parlare” “Si” gli risponde Giulia avvicinandosi un pò più a lui “Allora dimmi luce dei miei occhi, sei felice?”

“Luce dei miei occhi … e questa da dove esce?” dice Giulia ridendo divertita “Perdonami mi è uscita così, lo so è ridicola” “Ma no dai è divertente” “Ok! ok! Non vuoi farmi sentire un idiota e per questo ti adoro” dopo una pausa, serio le chiede “Sei felice Giulia?” “Non lo so, forse sì, forse no. Ho un lavoro, una casa tutta mia, posso andare in vacanza dove voglio, eppure sento che mi manca qualcosa, mi sento incompleta o forse non abbastanza viva o forse, bo non saprei proprio. Comunque se oggi sto così è tutta colpa di Shakespeare” “Shakespeare?!” chiede Saverio sorpreso “È venuto a trovarti? Ti ha offesa o importunata? Dimmi subito che vado a cercarlo e gliene dico quattro” lei scoppia a ridere “No non mi ha importunata, mi ha solo fatto riflettere sulla mia vita amorosa” Saverio la guarda cercando di leggere qualcosa in più nei suoi occhi e le chiede “Forse la tua vita amorosa ha qualcosa che non va come la mia?” “Cosa ha la tua che non va?” domanda lei incamminandosi di nuovo “Pensavo lo sapessi?” le risponde Saverio camminandole a fianco “Cosa dovrei sapere?” insiste a chiedere Giulia “Del mio amore non corrisposto … almeno credo” “Oh come mi dispiace Saverio. Chi è l’idiota che non corrisponde il tuo amore? Non capisce nulla! Sei fantastico, sei l’uomo perfetto da amare, credimi” “Dici davvero?” – “Certo! Guardati, sei un bell’uomo, simpatico, gentile, sai ascoltare, devi solo avere fiducia in te stesso” e gli da un colpetto di incoraggiomento su un braccio “Forse hai ragione, ma lasciamo stare me e dimmi cos’ha che non va la tua vita amorosa” – “Tutto!” e tutto d’un fiato continua “Intanto sono sola e non dirmi potresti prendere un gatto, non è quello che voglio. Vorrei innamorarmi, anche se forse lo sono ma …” ha un attimo di esitazione poi prosegue “Insomma vorrei provare sensazioni forti e vorrei essere disposta ad andare all’inferno pur di provarle. Mi capisci?” “Non proprio, ma immagino che il tuo andare all’inferno abbia a che fare con Shakespeare” “Esatto! Oggi mi sono scazzata dopo una sua poesia, che forse nemmeno ha scritto lui, ma non importa, mi sono scazzata lo stesso ed ho iniziato a pensare che non ho mai baciato nessuno al punto di sentirmi in paradiso” “Davvero?” le chiede Saverio “Si davvero!” e mentre l’ascolta parlare Saverio la osserva: quel viso, quei lineamenti, quella voce, quella donna gli piacciono da morire.

Si conoscono da più di un anno ormai, ma non è ancora riuscito a parlargliene.

Si erano incontrati al parco un giorno che lui era con Toby, il suo cane. Un piccolo incidente tra Giulia e Toby li aveva fatti conoscere, era nata così la loro amicizia e nei mesi si era consolidata . Si incontravano spesso passeggiando e ogni volta continuavano la camminata insieme chiacchierando, ridendo e scherzando, era diventato quasi un rito serale, ma senza nessun impegno preciso, chi c’era, c’era. Avevano anche bevuto qualche aperitivo insieme, consumato qualche cena al pub sotto casa di lei e si sentivano con dei messaggi via cellulare, ma tutto finiva lì, lui non trovava un modo per andare oltre. Giulia era riservata. Non si esponeva molto su sé stessa tranne in rare occasioni, come in quel momento, in cui si lasciava andare e, allora, si raccontava a ruota libera e lui si sentiva travolto da lei, impazziva dal desiderio per lei e si convinceva sempre più di amarla.

“Avere fiducia in te stesso” Saverio pensa alle parole che Giulia gli ha detto poco prima, si ferma un attimo e le dice “Dammi le mani” lei si gira verso di lui e gliele allunga subito, lui le prende e le stringe con forza tra le sue “Chiudi gli occhi” – “Perchè cosa vuoi farmi fare?” dice lei fingendosi preoccupata “Fidati” le risponde. E lei, che di Saverio si fida tantissimo, li chiude.

Aveva riposto la sua fiducia in lui fin da subito, dalla prima volta in cui lo aveva conosciuto. Era rimasta colpita oltre che dall’amore che lui aveva per il suo cane, che spesso li accompagnava nelle loro passeggiate e di cui anche lei, fin da subito, si era innamorata, dai modi educati e rispettosi che aveva con lei e dalla sua timidezza. Se non fosse stato per Toby che si era scontrato con Giulia facendola cadere, non si sarebbero mai conosciuti. Probabilmente Saverio, anche incrociandola spesso, oltre all’educato buongiorno con cui la salutava ogni volta, non le avrebbe mai rivolto altre parole, ma in quell’occasione non aveva potuto farne a meno, l’aveva soccorsa ed era stato gentilissimo e simpatico nel farlo. A volte non le sarebbe dispiaciuto se lui avesse osato di più con lei, ma non lo faceva e lei, pur essendo parecchio presa dalla loro amicizia, rispettava la sua scelta cercando di essere discreta e non invadente, non voleva perderlo per nessun motivo al mondo.

Giulia ad occhi chiusi e con le mani strette in quelle di Saverio aspetta, fa un passo quasi a voler camminare ma lui la blocca. Si sente strana, c’è un’intensità diversa tra loro due quella sera “Ferma non ti muovere, non andiamo da nessuna parte e resta ad occhi chiusi”- “Ok sarò immobile”- “Bene” dice Saverio cercando di nascondere una certa emozione. Poi si avvicina con il volto a quello di lei, sente il suo respiro sfiorargli le guance e pensando di nuovo “Abbi fiducia in te stesso” le lascia le mani per tirarla verso sé e appoggiare le labbra a quelle di Giulia che è sorpresa, ma non si tira indietro, anzi si avvicina ancora di più lasciando che le sue labbra si rilassino al contatto con quelle di lui. Le dischiude leggermente per invitarlo ad osare di più e lui ne approfitta subito.

Giulia è travolta da un’infinità di sensazioni. Più lui insiste con il bacio, più lei si sente coinvolta, ma non è solo un coinvolgimento fisico, c’è molto di più. Mentre il suo cuore esplode, la sua mente si libera e tutte le paranoie improvvisamente non ci sono più, sono svanite lasciando spazio solo a pensieri su loro due, a momenti di loro due, a cose dette tra loro due che giacevano sopite in attesa di qualcosa che le portasse alla luce e quel qualcosa è arrivato “Sarò in paradiso?” si domanda Giulia che socchiude gli occhi un istante per accertarsi di non sognare. Il crepuscolo ha lasciato spazio al buio, ma il chiarore della luna alta nel cielo, le consente di vedere i lineamenti rilassati di Saverio. Per un’istante apre gli occhi anche lui, ma senza lasciare la sua bocca, i due sguardi colmi di passione si incontrano, poi entrambi tornano a baciarsi. Nessuno dei due vuole perdere altro tempo, hanno aspettato ed indugiato fin troppo a lungo per trovarsi. E, mentre continua a sciogliersi tra le braccia di lui, Giulia pensa “William credo di essere in paradiso … ti racconterò” e si stringe più che può a Saverio che, ormai sicuro di se, non sente nemmeno il bisogno di respirare, ma solo quello di baciarla.

The perfect man (part 2)


Here “the perfect man part one”

PING…”Buongiorno tesorino bello, dormito bene ?”

Eh no, mo’ lo blocco, si disse Laura, ma quanti cazzo d’anni c’avrà questo? Dieci? Dodici? Saranno almeno quarant’anni che nessuno si rivolge a me in questo modo.
“Non tanto per le parole, che in un saldo rapporto di coppia potrebbero anche starci”, pensò, “quanto per il timbro di voce … e poi lo sa bene che non voglio ricevere file audio”.


Si sedette a gambe incrociate sul tappeto rosso della sua camera da letto, inspirò a lungo dal naso e espirando con forza dalla bocca svuotò i polmoni. Le lezioni di yoga a qualcosa servivano!
Prese in mano il cellulare, contò fino a dieci e con un messaggino lo invitò per l’ennesima volta a non inviare più file audio.

PING… “Ti amo”, le scrisse enfatizzando il tutto con cuoricini BACINI e fiorellini. “Ah beh, ci sono andata vicina con l’età” pensò Laura ridendo .


PING ….”Ecchecavolo un altro messaggio audio. Giuro che se mi chiama ancora “ tesorino bello” lo denuncio per vilipendio alla mia integrità di donna, ci manca solo un DU DU DA DA DA e poi mi trasformo in Jack lo squartatore”. Fissò lo schermo mordendosi una guancia: “ussignur , quaranta secondi di audio, manco i miei figli me li han mai inviai “.


Ohhhm Ohhhm, le gambe erano sempre incrociate, fissò i disegni che risaltavano sul tappeto e con un dito ne seguì il contorno, una mezzaLUNA ed un sole si intrecciavano con varie figure geometriche creando una simpatica simmetria di colori. Prese TEMPO e quando si sentì pronta accostò il cellulare all’orecchio.


“I love you my dear …” I love you my dear… I love you my dear … I want to see you, I want your photo, I want see your legs, your hands , your hairs, I love you, you are the best, I want meet you”.


“Houston? Texas? Questo al massimo è di Gallarate e c’ha pure bisogno di un TSO” , riflettè mentre inoltrava l’audio a Carla, la sua amica del cuore .
“Seeeeeeee, se questo è di Houston io sono Angelina Jolie”, le rispose immediatamente Carla “comunque, fossi in te, il numero di whatsapp glielo darei, giusto per capire dove vuole arrivare a parare, anche se mi pare fin troppo evidente, comunque puoi sempre bloccarlo lasciando attivi solo i messaggini, così eviti che ti stalkerizzi”
Laura scoppiò a ridere, lei e Carla erano amiche da tantissimi anni, la loro amicizia era nata per puro caso e seppur vivendo in contesti completamente differenti condividevano gli stessi prìncipi ehmmm no, PRINCìPI, ovviamente con l’accento sulla seconda “i”.


“Davvero? Davvero davvero davvero? E come mai hai cambiato idea!?” le chiese enfatizzando il tutto con cuori fiori e quadri, mancava solo il picche, quello che gli avrebbe dato lei, se non la smetteva di comportarsi in quel modo così infantile.

Fu così che la loro “amicizia”, nata su Messenger , venne affidata ai piccioni viaggiatori di whatsapp con buonapace di John e probabile rassegnazione della di lui consorte.

Il cellulare squillò alle ventidue, Laura aveva appena indossato il pigiama blu con la scritta “ Follow your dreams”. Nessuno le telefonava mai a quell’ora, si chiese chi potesse essere, sicuramente non John , erano trascorsi mesi da quando Carla la convinse a cedere alle implorazioni di quello che inizialmente aveva soprannominato Narciso Man ma col passare del tempo aveva cominciato a ricredersi, in fin dei conti non era poi così male. Certo, c’erano ancora tanti punti oscuri, ma per il tipo di amicizia che si era creata, a lei non interessava più di quel tanto. Le andava bene così, chiacchieravano in chat, lei aveva messo dei paletti e seppur a fatica era riuscita a mantenerli. Alle sue richieste esplicite lei tirava fuori ogni volta il due di picche e la cosa moriva lì.

In quei mesi John le aveva inviato diverse foto e video personali attenendosi alle regole, solo una volta aveva cercato di mostrarle il suo coso ma Laura lo aveva stoppato e le loro conversazioni si erano attestate su un piano meno intimo ma sicuramente più interessante da un punto di vista della conoscenza reciproca. Fu grazie a quelle foto ed a quei video che Laura scopri la passione di John per il volo.

Si, perché John, oltre ad essere un ingegnere petrolifero aveva conseguito anche un brevetto di volo e nel tempo libero si dilettava noleggiando piccoli bimotori coi quali lasciava il suo isolotto sperso nel mediterraneo e raggiungeva il continente . In un emozionante video John le mostrò un atterraggio di emergenza compiuto a Fiumicino in una giornata proibitiva, il lungo scambio di informazioni con la torre di controllo e la sua voce agitata avevano fatto breccia nel cuore di Laura: in quell’occasione , John, aveva rischiato veramente di non farcela.


Al terzo squillo Laura sussulto’, si era persa nei suoi pensieri, prese in mano il cellulare, e fissò lo schermo: numero privato”. Rispose. All’altro capo una voce maschile, forte e schietta, tipica di chi è abituato a dare ordini, la fece rabbrividire. “Domattina alle otto e non ne faccia parola con nessuno”, le disse.

Fu così che Laura si ritrovò immischiata in quella che in seguito definì “una giusta rivalsa”.

TO BE CONTINUED.

Niente è più visibile di ciò che è nascosto”.
CONFUCIO

Chi l’ammazza Sanremo?

Ovviamente non la cittadina, si parla di Festival!

Nonostante i settantuno anni lo rendano più esposto al contagio il Covid non lo ha scalfito affatto e non ha avuto nemmeno bisogno di fare il  vaccino. In barba a restrizioni, divieti e coprifuoco, come la fenice il festival di Sanremo risorge dalle ceneri di chi ne farebbe volentieri a meno e fa spettacolo.

Amato e odiato, con edizioni più o meno riuscite, resta sempre in piedi, per alcuni come simbolo della canzone italiana per altri delle canzonette, ma, qualunque sia la verità, lui resiste e persiste, semmai barcolla ma non molla.

E quest’anno al grido di “Lo spettacolo deve continuare” – ma solo quello di Sanremo – sfida le malelingue (anche la mia) addirittura con un format senza cantan.. (ops!) senza pubblico, e, come da copione ormai collaudato, con i presentatori più cool affiancati da stilosissime vallette che, per questa edizione, dovrebbero essere una diversa ogni sera, nel pieno rispetto delle quote rosa.

Quote rosa possibilmente fighe, agghindate e addobbate a festa.

Mai successo che a Sanremo abbia visto (passibile di smentita perchè avrò visto 3 puntate al massimo) una quota rosa racchia, ma soprattutto che non fosse relegata al ruolo secondario di valletta: poche sono state le coconduttrici,  rarissime le conduttrici, una la direttrice artistica in settantuno anni.

Andando a ritroso nella storia di Sanremo le edizioni affidate ad una conduzione femminile sono state ben poche cinque o forse sei, ma anche se è “una ‘nticchia” maschilista poco importa; lo perdoneremo perchè “Sanremo è Sanremo” e lo guarderemo, fosse anche solo per curiosità o coazione mediatica e il secondo caso è, senza se e senza ma, tutto il mio.

Sanremo. Anche quest’anno si trova in Liguria

(Ernesto Montale)

THE PERFECT MAN (part.1)

(dammi tre parole: INCONTRO EQUILIBRIO CASSA)


“E dai suuuuu, scrivimi il tuo numero di whatsapp. In mare la connessione non funziona”.


La loro amicizia, se così la si può definire, nacque solamente un’ora prima di quel fatidico messaggio. Fu lui a contattarla attraverso messenger, senza che lei avesse mai fatto nulla per agevolare tutto ciò. Non un messaggio equivoco, mai una foto che mostrasse la mercanzia ed ancor meno qualcosa che potesse far pensare, ad un qualsiasi mortodifiga, che dall’altra parte ci fosse una persona disposta a perdere il proprio tempo ingrassando l’ego di uno dei tanti narcisi che popolano la rete.


“Mi spiace, non do il mio numero a sconosciuti”.
“Sconosciuti? Ma se ti ho raccontato tutto di me, ormai siamo amici!”.


Eh già, che sciocca … e pensare che lei aveva sempre creduto che le amicizie si costruissero col tempo, messaggio dopo messaggio, condivisione dopo condivisione. Era così che aveva sempre funzionato nella sua vita.
Sorrise a sé stessa, ripensando a ciò che Narciso le aveva appena raccontato di sé e riflettè sulle modalità di approccio che rispecchiavano un cliché ben collaudato … e decise di rimanere al gioco.
Non per masochismo o ancor peggio per autolesionismo ma semplicemente per approfondire il lato oscuro della mente umana. Ci era già passata nella sua vita, aveva già avuto a che fare con un narciso e dopo un tempo fin troppo lungo era riuscita a distaccarsene. Ormai si era fatta gli anticorpi e nulla e nessuno sarebbe riuscito ad intaccarla, ma la curiosità di approfondire quel modus operandi, fin troppo standardizzato in un certa tipologia di uomini, la incuriosiva.


Fece scorrere il mouse a ritroso, nella chat di Messenger e si soffermò sulla vita di Narciso.


“Mi chiamo John Smith (ma vaaaa, almeno ha avuto il buongusto di non presentarsi come John Doe) sono un ingegnere petrolifero di Houston, Texas. Sono separato e non ho figli. Vivo e lavoro in Italia, in pieno mediterraneo, ma la mia casa è in America, ho cinquant’anni, amo tantissimo leggere e cerco una compagna”.
“WOW che culo”, scoppiò a ridere Laura, “l’uomo perfetto CERCA ME, PROPRIO ME ME ME MEEEEEE 🤣🤣🤣 !”
John Smith tornò alla carica: “Se ti scrivo il mio numero, mi aggiungi su whatsapp? Non possiamo continuare su Messenger, ho problemi di connessione qui nel mediterraneo e mi spiacerebbe perdere la nostra preziosa amicizia”.


L’insistenza di Narciso iniziava a darle sui nervi, era palese che la necessità di spostarsi su altri lidi telematici non fosse dettata dal wifi ballerino ma dal timore di venir sorpreso dalla propria consorte incazzata nera perché stanca di esser presa per il culo da un uomo di merda. Anche perché, diciamocelo, il sistema di crittografia end to end di whatsapp non è supportato da piccioni viaggiatori che volano in EQUILIBRIO sulle onde radio fischiettando allegramente “Nel blu dipinto di blu”… in qualche modo la connessione dovrà pur funzionare, “anche in pieno Mediterraneo”. “No, grazie”, gli rispose, ”se ti fa piacere possiamo continuare a scriverci su messenger, raccontami qualcosa di più su di te, dove lavori esattamente?”.
“Te l’ho detto, lavoro in pieno mediterraneo. Vivi con i tuoi figli? Ti va di darmi il tuo numero? Vorrei conoscerti meglio. Cosa stai facendo adesso?”
“Ecchecazz, ma è come un disco rotto”, pensò Laura rispondendo volutamente con una provocazione “Sto leggendo Il Ritratto di Dorian Gray”, lo hai mai letto? Quali sono i tuoi gusti letterari?”.
Ma la provocazione si disperse nel mare della stupidità e nonostante i suoi sforzi le onde continuarono a restituire oggetti di scarso valore morale e sociale “Leggo libri che parlano del mio lavoro. Cosa hai mangiato oggi?”.


La voglia di troncare fin da subito quella conversazione così sfinente era tanta ma la curiosità di comprendere fino a che punto sarebbe arrivato Narciso Man le diede la forza di proseguire. Le avrebbe chiesto un INCONTRO ? oppure di foraggiarlo economicamente prelevando dalla CASSA tutti i suoi averi? Le avrebbe promesso un matrimonio fantastico in una chat di mezzanotte mentre la moglie dormiva incazzata nera nella stanza accanto?


TO BE CONTINUED…

“Non sarò mangime per il tuo ego” (anonimo)

L’iniziazione

Alla fine c’era andata, forse più per curiosità che per altro, voleva vedere coi propri occhi fin dove sarebbe arrivata la stupidità umana .

Ma subito se ne penti’. “Dovrei essere altrove”, si disse ripensando a quello stupido meme condiviso su Facebook da chi crede ancora in Babbo Natale… ma sì dai, lo conosci anche tu, è quello del fiume, della riva e del cadavere che passa.

Prese un sassolino e lo lanciò nell’acqua  sollevando un leggero schizzo gelido che le bagnò la caviglia.

“Che te frega, Patrizia , tu vacci”, l’aveva incoraggiata suo cugino Alessandro, “è un modo come un altro per stargli vicino e stai serena,  ce la farà…”. 

Narra la leggenda che tanto leggenda non è , che a monte del fiume Zaffiro, dietro al Garlente,  avvengano  strani riti tribali accompagnati da sacrifici umani … no, tranquilli, niente di macabro o passibile di denuncia . Molto più semplicemente un gruppetto di giovani idioti si riunisce saltuariamente  portando con se’ un cospicuo quantitativo di cibo e di alcol. All’iniziato di turno viene concessa la facoltà di bere e di mangiare, anche a piccolissimi sorsi o bocconi , a condizione però che ciò avvenga ininterrottamente per 24 ore di fila. Se l’imberbe adepto  non dovesse riuscire nel proprio compito , tutti i suoi averi compresi abiti, soldi e cellulare verranno gettati nella corrente del fiume ed il suo corpo nudo lasciato al pubblico ludibrio  .

“Corre voce che il rito sia iniziato  ieri ”, insistette quella mattina Alessandro, con un messaggino su whatsapp , “il tam tam del liceo dice così  “.

Patrizia si sollevò da terra pulendosi meccanicamente i jeans, si sedette su un masso  sul greto del fiume  e attese  paziente. Sapeva  bene che l’iniziato di turno sarebbe stato Daniele, tra di loro c’era molto di più di una semplice infatuazione, ma era consapevole di non poter fare nulla, senza quel rito difficilmente sarebbe stato accettato dai suoi compagni di liceo e a quell’età , si sa, sentirsi accettati è di vitale importanza.
 “Dimmi la verità, Daniele , è  in questi giorni, vero? Ho visto che hanno già creato l’evento su Facebook”, gli aveva chiesto qualche giorno prima. Ma Daniele non voleva preoccuparla e poi tra le regole della confraternita c’era quella di non rivelare a nessuno  la  data degli eventi.

Patrizia guardò il fiumiciattolo sperando in cuor suo di non veder affiorare nulla, segno che il rito, per quanto idiota ,  s’era concluso vittoriosamente.

Scrutò a monte e poi a valle. Accampati  lungo la riva i ragazzi dell’ultimo anno sembravano avvoltoi in attesa di fiondarsi sulla preda, ma al posto degli artigli sfoggiavano cellulari con fotocamere da far invidia ai tecnici della Nasa. “Idioti” pensò Patrizia accarezzando l’acqua gelida . “E idiota anche lui, che non è riuscito a dire di no a questa stronzata ”.

Prese in mano il cellulare e aprì la pagina Facebook creata dalla confraternita di bimbiminkia, “perché è questo che sono”, si disse. Al suo interno la narrazione del rito, senza nomi, senza riferimenti temporali, senza nulla che potesse insospettire il direttore didattico, anche se Patrizia era certa che ne fosse al corrente. Nella parte superiore un riquadro lasciato in bianco avrebbe ospitato un piccolo video  con l’esito dell’iniziazione: il lancio degli abiti nel fiume o la consacrazione con tanto di rasatura del cranio .

Patrizia ripose il cellulare nello zainetto, sopra agli abiti che aveva preso dall’armadio di suo fratello “tanto hanno la stessa taglia” si disse.

Sapeva che Daniele era determinato e che avrebbe portato a termine il rito  “ma non si sa mai, anche perché non regge l’alcol, se dovesse farcela gli ci vorranno giorni per riprendersi dalla sbornia”, aveva detto poco prima ad Alessandro, mentre riponeva nello zaino oltre a jeans e maglietta anche un bel thermos di caffè .

Ma se le cose fossero andate male, avrebbe almeno cercato di togliere a Daniele l’imbarazzo della nudità .

Frammenti della loro relazione, seppur iniziata da poco, le tornarono alla mente. Il loro primo bacio, la loro voglia di spingersi oltre ma il timore di non essere ancora pronti, la necessità di comprendere meglio  i  rispettivi sentimenti. Per Patrizia sarebbe stata la sua prima volta e ci teneva affinché fosse indimenticabile.

Improvvisamente delle voci sovrastarono il mormorio dell’acqua e divennero via via sempre più concitate.

Qualcosa stava avvenendo .

Scrutò attentamente il fiumiciattolo poi prese in mano il cellulare. Il riquadro era ancora bianco .

Guardò  il sentiero che costeggia il fiume stringendo con forza lo zaino, pronta a correre in suo soccorso qualora fosse stato necessario, sperando così di limitare al massimo la gogna fotografica.

Poi un improvviso refresh e sulla pagina di facebook si materializzò una foto , Patrizia lo vide,  era stanco, provato, sicuramente brillo, ma con lo sguardo fiero di chi ce  l’aveva fatta. Fissò quel cranio lucente leggermente bitorzoluto;  la folta capigliatura mora che aveva accarezzato tante volte era sparita, rasata dal branco di bimbiminkia. Ricresceranno, si disse.

Salvò velocemente sul cellulare  la foto prima che la pagina venisse definitivamente chiusa, tirò  fuori dallo zaino il thermos, lo aprì e bevendo  un sorso di caffè tirò un sospiro di sollievo.

Il rito si era compiuto. Domani sarebbe stato un altro giorno, altri “cadaveri” sarebbero passati lungo il fiume, ma per lui, per loro, tutto ciò sarebbe stato un piacevole ricordo … da raccontare ai nipotini . Chissà !

VI RICORDATE IL POST DI IERI?

Quello dove io e Liberamente, la mia compagna di blog e di scarpe, abbiamo raccontato il giochino del “dammi tre parole…“ma che non siano sole cuore e amore”.

Ebbene, il post che avete appena letto è il frutto di tutto ciò.

Le parole chiave? GIOVANI, FIUME, FRAMMENTI.

Ora tocca a te, Liberamente,

a che punto sei con

GAMBO CIBO e DISEGNO?

Vi va di giocare con noi?

Scriveteci tre parole, le trasformeremo in un post

🙂

Dammi tre parole …

… ma fa’ che non siano “sole cuore e amore”.


Alle volte le serate migliori nascono così, per puro caso, con tre semplici parole.
Ed è proprio in questo modo che io e la mia compagna di blog ci salutiamo ogni lunedì sera.
Con tre semplici parole, scelte a caso nel casino della nostra mente o nel libretto delle istruzioni della lavastoviglie dopo una serata giocosa trascorsa in compagnia di un libro, di un computer e di una connessione alla rete… e con queste tre parole ci ripromettiamo di rivederci il lunedì seguente.


Sette giorni, sette lunghe giornate nel corso delle quali riflettere per riuscire a scrivere qualcosa di leggibile e che racchiuda quelle tre semplici parole che, come canta Mina, potrebbero essere semplicemente “parole parole parole, parole soltanto parole, parole tra noi”.

E se ancora non fosse chiaro, lo riassumo in soldoni: “ci assegnamo a vicenda tre parole scelte a cazzum e con quelle dobbiamo costruire una storia da condividere sul blog la settimana seguente”.

Il mio compito per questa settimana ? “GIOVANE FIUME FRAMMENTI”.

A domani, con “L’INIZIAZIONE”

“Patrizia guardò il fiumiciattolo sperando in cuor suo di non veder affiorare nulla, segno che il rito, per quanto idiota , s’era concluso vittoriosamente”

LA PORTA

Laura si avvicinò alla porta socchiusa.

Cosa faccio? Si chiese.

Sapeva che se avesse varcato quella soglia nulla sarebbe stato più come prima.

Avanti, si disse, non è difficile.

Avvicino’ la mano alla maniglia , l’abbasso’ e con uno scricchiolio la porta si aprì. Un leggero profumo speziato la avvolse e finalmente realizzo’ di aver preso la decisione più saggia della propria vita .

Ora non le restava altro da fare che seguire delle poche e semplici regole e nel giro di poco tempo tutti i tasselli sarebbero tornati al loro posto .

Le tette si sarebbero distinte dalla pancia . I glutei sarebbero tornati sodi. Il mento, quello secondario, sarebbe stato riassorbito lasciando il posto a quello di default, le cosce avrebbero smesso di fare ciac ciac una contro l’altra e le ali di pipistrello sarebbero tornate a definirsi avambracci .

Laura si voltò per chiudere la porta dietro di se’ e per un lungo istante fisso’ la targhetta con la scritta rosso fuoco. Non era la prima volta che leggeva quella scritta ma solo ora aveva realizzato il valore intrinseco di quelle tre semplici parole . No, non sarebbe tornata indietro, ormai il primo passo era stato fatto . Chiuse con cura la porta alle sue spalle, sollevo’ il mento, inspirò profondamente e … buon anno ricco di buoni propositi a tutti .

Quando sai quello che vuoi, e lo vuoi con abbastanza forza, troverai un modo per averlo.
(Jim Rohn)

Una giornata di ordinaria follia.

 “Beh? Che voleva quella? “
“Cazzo ne so, si sarà sbagliata! “
“Sì, certo come no? e  s’è sbagliata pure con la targa…come s’è sbagliato quello di Firenze … e poi che hai fatto, gliel’hai data la cassetta?” –
 “Per forza, quella stronza stava chiamando la pula, sì ma se domani non me la riporta vado a casa sua e le faccio un culo così”.
Non era la prima volta che Francesco si smentiva in questo modo, probabilmente non se ne rendeva neppure conto.  “Ma se hai detto che non sai chi è, come fai ad andare a casa sua?”   Francesco rimase per un attimo in silenzio, si morse il labbro e poi, con tono basso ma secco, rispose “Dove cazzo sei stata questo pomeriggio? Ho chiamato a casa e non hai risposto!”

Il telefono squillò una domenica di inizio estate. “Pronto, sì è mio marito, non è in casa, posso riferire qualcosa?” all’altro capo una voce con forte accento toscano la apostrofò  “DiHa a quel  HHojjone che se si azzarda ancora a molestare una disabile lo ammazzo personalmente, Harolina non si tocca, chiaro?”.
“Con chi parlo, mi dica almeno il suo nome”.  “Vanni” e riattaccò.  
Laura rimase a lungo con il telefono appoggiato all’orecchio. Che faccio? Chiamo il 112? Il 113? Il 118? Che numero si fa in caso di emergenza?  Alla fine desistette, per vigliaccheria , per non finire sulla bocca di tutti. “Lo sai? Tè sentì? Sì sì propi chel là.  A’ man dì che al fasea ul spurcasciun …”.
No, non ce l’avrebbe fatta a sostenere gli sguardi e le parole lasciate a metà dalle solite comari che si accampavano sui gradini dei plessi scolastici ad attendere che i loro pargoli finissero di denigrare il compagno di banco .
“Ma stavolta non la passa liscia”  urlò a sé stessa mentre riagganciava con forza il telefono.
“Ti dice niente “Carolina”?”  Lo affrontò così, d’impeto, senza preamboli, appena rientrò per cena.
“Carolina chi, quella della Pizzeria? Che dovrebbe dirmi?” rispose con una risata forzata, muovendo la testa a scatti alla ricerca di un punto di ancoraggio, qualcosa che gli permettesse di non cadere nel precipizio e lo trovò  . “Che si mangia stasera? C’è un profumino fantastico, che hai fatto, pasta al forno?  Mmmhhh deve essere fantastica”.


“CICUTA! ” sbottò Laura “cicuta rosolata con pancetta ed una manciata di parmigiano, poi vediamo dove va a finire la tua boria, smettila di fare il cretino. Ca-ro-li-na, Carolina la toscana, cos’hai da dire!”
“Non so di chi cazzo parli e non me ne fotte una sega”, urlò Francesco a pochi centimetri dal suo volto, il suo sguardo era torvo e le pupille parevano sfere d’acciaio.
“Che succede, pà, perché alzi la voce?”
“Nulla, Paolo, nulla, stiamo solo parlan…. Va’ che sei sporco di sangue, lì sotto al mento,  un po’ più a destra,  ancora un po’,  ecco sì,  lì così…tieni,  pulisciti e non usare le lamette vecchie.  Dai, torna in camera tua,  io e mamma stiamo solo parlando è che lei è la solita, lo sai, fa sempre così. Ti chiamo quando è pronto e dì ai tuoi fratelli di abbassare lo stereo. Laura, dacci un taglio, non so che ti frulla per la testa ma vedi di toglierti quelle strane idee, Paolo ti ho detto di andartene in camera tua, cazzo non ascolti mai!”.
Ma Paolo non aveva nessuna intenzione di schiodarsi dalla porta della cucina, appoggiò la schiena allo stipite, incrociò braccia  e gambe e rimase immobile, fissando i genitori attraverso le lenti degli occhiali da vista,  consapevole che la sua presenza avrebbe raffreddato gli animi. E Carolina svanì, nel cassetto degli orrori custodito da un Barbablù con le pupille d’acciaio.

“Allora, Che ci facevi in quel bosco?”
Io? Che ci faceva lei semmai, rispose Francesco senza scomporsi, io stavo solo riprendendo una coppia di merli, è lei che ha la coscienza sporca.
“Certo, Merli, ora si chiamano così …. e la cassetta dov’è?”
“Boh, da qualche parte nello studio, sulla libreria credo, ha cancellato tutto quella stronza ma se la ribecco non la passa liscia”.
“Se la ribecco… ha cancellato tutto… ma ti ascolti quando parli?”
Laura era seriamente preoccupata, non per le minacce, perché tanto sapeva che erano  tutte un bla bla bla, quanto per il timore che la situazione potesse degenerare perché quelle che inizialmente considerava coincidenze e che l’avevano portata  a credere che in fin dei conti fosse solo un po’  sfigato, iniziavano ad assumere proporzioni rilevanti. “Ma forse”, si disse per l’ennesima volta, “sono io che ho la mente contorta, non può essere davvero così”. 

Non fu facile suonare nuovamente quel campanello.
“Ciao Valentina ti ricordi di me? Ci siamo viste la settimana scorsa”.
“ah signora Laura, sì mi ricordo di lei”.
“Dammi pure del tu, Valentina, ti fidi di me vero, ti ricordi che eravamo diventate amiche? ”.
A Laura pareva strano parlare così ad una donna molto più grande di lei. “Si mi fido, ma il signor Francesco mi ha detto che non devo parlare con nessuno, mi ha detto che mi devo fidare solo di lui, lui mi vuole bene, mia sorella si è arrabbiata ma io le ho detto che non si deve intromettere perché io sono grande”.
Valentina parlava a ruota libera, innocentemente, come solo una bambina in un corpo da donna riesce a fare.
“Valentina, cosa fate  te ed il Signor Francesco quando viene a trovarti?”
La donna si irrigidì. “Niente” rispose in fretta  “lui è una brava persona, mi viene a trovare, alcune volte mi porta dei regali ma io non posso mangiare le caramelle, mia sorella non vuole e io glielo ho detto al signor Francesco e poi mi telefona e mi dice che mi vuole bene e che gli manco tanto e che vuole incontrarmi ma io non ho il suo numero e non lo posso chiamare”.  Laura era dispiaciuta, si capiva che quella donna dall’aspetto minuto era stata manipolata, non necessariamente per ottenere in cambio un rapporto sessuale, alle volte gli bastava molto meno, una sbirciatina, una toccatina … tanto lei non si sarebbe opposta, come le altre, del resto.

La voce che proveniva dall’altoparlante aveva quasi coperto il lungo biip del messaggino “Si avvisa la gentile clientela che è iniziata la nuova raccolta punti”. Laura aprì whatsapp “Lamette”,  Paolo non era particolarmente espansivo e i sui messaggi erano sempre molto stringati.
“Chiedi ai tuoi fratelli se hanno bisogno d’altro”.
“Nulla”, rispose Paolo. 
Laura insistette “Senti Sabri e Alessandro e fammi sanare”.
“Sanare?”
“Uffa, dai hai capito, è il t9, fammi sapere e dì a Sabri che le ho preso l’antibiotico”.
Ripose il cellulare nella tasca dei jeans e proseguì tra le corsie, depennando dalla lunga lista della spesa tutto ciò che metteva nel carrello.
“Eccallà, finalmente, tre ore … cazzo hai fatto in tre ore?
La spesa, rispose Laura a denti stretti fissando lo sguardo incattivito di Francesco “e comunque non son tre ore… ma se anche lo fossero non vedo il problema, se mi aiuti a scaricare la macchina invece di incazzarti ti rendi conto di tutto quello che ho acquistato”.
Ma l’ira di Francesco non si placava. Palle, sei una contapalle, ho controllato i chilometri, dove cazzo sei andata?
Laura iniziò a fremere, non aveva nulla da nascondere, avrebbe voluto mandarlo a quel paese ma l’odore di alcol lo avvolgeva come un’aurea torbida e sapeva che qualunque risposta avesse dato avrebbe portato all’ennesimo scontro.
“Allora, ALLORA, ALLORA?”, incalzò lui.
“Calmati dai, lo vedi anche dai sacchetti, macellaio, fruttivendolo, Iper e sono pure passata in farmacia, ci vuole tempo”. “Bugiardaaaaa”, le urlò contro “con chi cazzo ti sei incontrata!!!” Il telefono squillò.  Francesco rispose. “E’ tuo figlio”, le disse porgendole la cornetta in malo modo. Laura rispose, sapeva giù il motivo di quella  chiamata “Mà, ho sentito tutto, stiamo al telefono così papà si calma …”

La prima volta che Laura entrò in Associazione lo fece con le lacrime agli occhi , si sentiva una fallita, ma forse, pensò, sto sbagliando davvero tutto, in fin dei conti non è cattivo, non mi ha mai messo le mani addosso a parte..vabbè ma quello è stato un caso”.
Patrizia l’accolse con un sorriso ed una forte stretta di mano.  Laura non aveva grandi aspettative, si era recata in associazione su insistenza di sua sorella che teneva monitorata la situazione.
“Non è colpa tua”, le disse Patrizia dopo aver ascoltato a lungo i suoi sfoghi, “sta proiettando, ti accusa di fatti compiuti da lui, tienilo sempre a mente soprattutto nei momenti più difficili e chiamami a qualunque ora, anche di notte, ricordati che non sei sola”.
Scarabocchiò il proprio numero di cellulare su un foglietto e glielo porse. Patrizia non era un’operatrice e neppure un medico, era semplicemente una donna che era passata attraverso delle dinamiche simili e aveva superato i momenti critici con la forza e  la determinazione. Forse fu proprio questa consapevolezza che spinse Laura a lasciarsi andare, raccontandole nel tempo ciò che mai aveva osato raccontare a nessuno e Patrizia diventò così il suo angelo custode.
“So che sorriderai”, le disse un giorno porgendole una scatolina di cartone. Laura la aprì, al suo interno, adagiato su un panno colorato, un pezzo di sapone. “Ogni volta che lui ti accuserà di qualcosa o ti vieterà di uscire o di parlare, tu ripensa a questo dono e a ciò che esso rappresenta”.

La prima volta che sentì parlare di narcisismo perverso fu per puro caso, seguendo in televisione un caso di violenza in famiglia. Ma lui non è così, si disse ancora una volta.
“Cosa ti fa pensare che lui sia diverso?”, le chiese  Anna nel corso di una delle tante sedute di psicoterapia.
A questa domanda Laura non aveva risposte. Semplicemente negava a sé stessa una realtà ancor più dolorosa.
“Non puoi fare nulla per lui, puoi solo fare qualcosa per te stessa”
Sì, ma che cosa?  Laura si aspettava risposte concrete, avrebbe voluto che qualcuno le dicesse cosa fare, che le presentasse un elenco di azioni da compiere, magari in ordine cronologico o anche solo alfabetico. Tac Tac Tac, problema risolto.
Ma non fu così.
Laura non aveva bisogno di elenchi perché gli elenchi li conosceva già, facevano parte del suo patrimonio genetico, Laura aveva solo bisogno di tornare ad essere sé stessa.

“Che palle, anche stasera è arrabbiato”, pensò Laura sentendo sbattere la porta.
“Chi c’era in casa?”
“Nessuno chi vuoi che …” – “Non dire cazzate, ho visto una Peugeot rossa con una portiera ammaccata che ripartiva!”
“Qui non è venuto nessuno” rispose Laura decisa “i vicini hanno acceso la griglia, sarà stato un loro parent…” –  “balle era qui, chissà che cazzo fai quando non ci sono… e le mie liquirizie? Dove sono le mie liquirizie!!!”.
Laura rovistò nella borsetta, tieni, gli disse porgendogli un pacchetto ancora nuovo “e vedi di calmarti, io vado a fare una doccia”.  Entrò in bagno, si chiuse a chiave, aprì l’acqua e si sedette su uno sgabello, aveva bisogno di parlare con il suo angelo custode. “Patrizia, sono preoccupata, oggi ho parlato con Vanni, le cose si mettono male, era agitato, mi ha implorata di aiutarlo. Fra’ non sa nulla, o almeno credo, ma oggi è più intrattabile del solito. Non so che fare Pat, non voglio finire nei guai, ma Vanni mi ha chiesto di…“ “Che cazzo fai li in bagno, con chi parli?”
“Con nessuno ora esco”
“Patrizia”, sussurrò al telefono “ora non posso parlare. Ti richiamo appena possibile.”. Chiuse frettolosamente la chiamata e si infilò sotto la doccia per bagnare i capelli, poi indossò l’accappatoio ed aprì la porta “neppure in bagno posso stare tranquilla?”.
Ma Francesco non riusciva a calmarsi, continuava a camminare avanti e indietro da un locale all’altro, alzando la voce, imprecando, offendendo, minacciando. “Siete tutte uguali voi donne, siete delle stronze”, urlava senza apparente motivo  Poi iniziò a picchiare i pugni sulla porta, vide il cellulare che Laura aveva appoggiato sul tavolino, lo prese e lo scaraventò con forza contro al muro. “Così la smetterai con tutti quegli uomini, puttana PUTTANAAAAA!”

Laura si spaventò,  non aveva mai temuto per la propria incolumità ma quella sera le sue certezze iniziarono a vacillare . “Mamma ti prego fai qualcosa” la supplicò Sabrina agitatissima, i suoi fratelli si erano chiusi nelle loro camere pronti ad intervenire se fosse stato necessario.
 “Sabri, io esco, vado da Lucille, se non mi vede magari si tranquillizza, il cellulare è rotto ma se hai bisogno sai dove trovarmi”. Si vestì rapidamente prese il giaccone ed uscì di casa con le lacrime agli occhi. I capelli erano ancora umidi, sollevò il cappuccio cercando di ripararsi  la gola con il bavero ma il freddo le penetrava nelle ossa.
Si incamminò lentamente lungo la via, cercando di non dare troppo nell’occhio.  Alle sue spalle una voce agitata le urlò “Dove cazzo vai, Giovanna, torna indietro, i panni sporchi si lavano in casa”. Troppo comodo, pensò Laura allungando il passo. Si asciugò le labbra bagnate di lacrime e suonò il campanello.
Lucille Laurent  aprì la porta che dava sul salotto.
“Mon Dieu, Laura cos’è successo? Vien entre, tes mains sont glacée, ti preparo  un the caldo” .
“Ti ringrazio Lucille, non mi va nulla, preferisco restare qui fuori”, si sedette su un gradino fissando un secchio di macerie e dei mattoni abbandonati in un angolo “A che punto sono i lavori?”. Non attese risposta. “Prestami il cellulare… ho parlato con Vanni, ho paura, non so se sto facendo la cosa giusta. Frà è completamente fuori di testa, poco fa si è confuso e mi ha chiamata Giovanna,  non so chi sia, sarà una delle tante”.  

Con le mani tremanti compose quel numero che conosceva a memoria. Mi odierà, si disse, ma subito ripensò a quel pezzo di sapone che Patrizia le regalò in Associazione.  Laura lo conservava ancora, era  il simbolo della rinascita, la consapevolezza che i panni sporchi, se  lavati nelle giuste sedi, tornano lindi e profumano di libertà.

Un leggero rumore la fece trasalire, sapeva che l’aveva seguita ma non lo temeva, eppure … c’era  qualcosa di strano nell’aria. “Vattene” urlò serrando i pugni “ho bisogno di stare sola”.

”Poi  improvvisamente un bastone si sollevò, Laura lanciò un urlo, il cellulare che teneva in mano cadde per terra.  Un dolore lancinante alla spalla la fece barcollare ed il suo corpo iniziò a tremare.
Delle figure uscirono dall’ombra, Laura incrociò il viso di una donna che la stava soccorrendo “Stai Halma, le disse  tenendola stretta in un abbraccio materno, “lo sai, non ce l’abbiamo Hon te”,  Laura fissò quegli occhi chiari contornati di rimmel e quelle labbra che ancora profumavano di liquirizia e sussurrò “mi avevi detto che volevate solo parlargli …”.
“Oh Hoglione, a te oh sapevi che a dovevi lascià stare” urlò Vanni sollevando un mattone. Francesco parò il colpo con la mano ma cadde per terra, un uomo molto più giovane e tarchiato lo colpì alle spalle, Francesco si rotolò sull’asfalto ma subito si rialzò riuscendo a sferrare un pugno nello sterno di Vanni che si accasciò sui gradini. Approfittando di un attimo di distrazione l’uomo tarchiato afferrò Francesco da dietro  le spalle serrandogli le braccia, Vanni si sollevò e lo colpì con un calcio al basso ventre.
 “Hosì forse Hapirai, neanche pè piscià lo potrai più usare”.
Francesco si raggomitolò sull’asfalto gemendo e il  suo respiro divenne affannoso.
Si rialzò con molta fatica, barcollando, sembrava si fosse arrivati all’epilogo quando di colpo Francesco afferrò Vanni per la camicia ma si sbilanciò e cadde per terra, l’uomo tarchiato gli piombò addosso e lo bloccò  colpendolo ripetutamente sui reni.
Sfinito, con gli abiti lerci e la bocca impastata di terra e di sangue  sussurrò “non sapevo che fosse disabile”.
L’ira dei due uomini, che pareva placarsi, si riaccese.
 “Bujiardo, sei un bujiardo, l’hai circuita, le dicevi  come muoversi, Hosa indossare e Hosa togliere… le dicevi che era speciale, la chiamavi la donna con le ruote d’acciaio, le avevi promesso un futuro meraviglioso e lei ci aveva creduto. Dovresti vergognarti, sapevi che era fragile e invece sei ancora qui a raccontare balle e ora lei…lei …. “
Vanni sollevò un braccio,  pronto a sferrare l’ennesimo pugno, ma d’improvviso  si accasciò per terra, stremato.
E pianse.

Dall’abitazione giunse una voce concitata  “Police Police aiuto, lo stanno ammazzando”.

All’arrivo dei soccorsi la banda si era già dileguata a bordo di un’auto parcheggiata in una via laterale. Laura ripensò a quella figura femminile con gli occhi chiari contornati di rimmel. Una figura importante,  una donna forte nonostante l’età, una donna abituata a sostenere il peso di una figlia disabile, adulta nel corpo ma fragile nell’anima.

Per terra un corpo tumefatto si contorceva dal dolore ed imprecava a gran voce. Era vivo, almeno quel tanto che bastava per raccontare la propria versione dei fatti ai figli che nel frattempo erano giunti, attirati dal via vai delle sirene.

Laura si sedette sui gradini fissando le macerie,  afferrò una piastrella sbeccata e la lanciò con forza in un angolo buio. “Fanculo”, urlò a sé stessa ma  una fitta alla spalla  la fece irrigidire, serrò le mascelle e spostò il busto cercando di attenuare il dolore.

Venga signora, la accompagniamo in ospedale, ma Laura rifiutò, voleva tornare a casa, aveva bisogno di una doccia calda e del suo letto, aveva bisogno di pensare, di riflettere … di riposare.
“La aspettiamo domattina in caserma, ma stia tranquilla, li prenderemo, probabilmente già questa sera”.
Laura ripensò a quella visita inaspettata, erano trascorse poche ore ma le parevano un’eternità.
“Ti prego, aiutaci, fa’ He esca, ce vojjo  parlà ”, le disse Vanni un attimo prima di allontanarsi a bordo di una Peugeot rossa con la portiera ammaccata.
Laura li aveva aiutati, l’aveva fatto per Carolina, per Valentina ma soprattutto per sé stessa. Forse, l’indomani, quel cassetto degli orrori  sarebbe stato finalmente spalancato e Barbablù sconfitto.

Il telefono per terra squillò, Laura lo sollevò e rispose, all’altro capo una voce nota le ricordava il profumo di sapone e di bucato pulito.
“Ho ricevuto una chiamata da questo numero, con chi parlo?”

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale. Anche se qualcuno potrebbe riconoscersi nei dialoghi riportati benchè siano assolutamente ripresi, romanzati e riassunti gli aneddoti riportati sono a titolo esemplificativo di fatti verosimili.

Legittima Difesa

La voce ferma e possente del giudice Watson squarciò l’aria, la tensione nell’aula del tribunale salì alle stelle. “Sono stati  trovati tre cadaveri, tutti appartenenti al medesimo nucleo familiare. Sappiamo che è stato Lei.  Cos’ha da dire a sua discolpa?”

John Smith si rannicchiò sulla seggiola lo sguardo vacuo perso nell’aria, il giudice fissò l’omuncolo e tuonò “Avanti, vuoti il sacco”.

John sobbalzò e come un fiume in piena iniziò a snocciolare gli eventi .

“Ho conosciuto Kate una settimana fa e ci siamo subito innamorati. Le ho proposto una tavolo da “Peppapig” ma lei ha preferito organizzare una cena dai suoi genitori. Mi sono vestito di tutto punto, ho comperato un mazzo di fiori e puntuale come un orologio svizzero mi sono presentato a casa loro.

La cena era già pronta.

Per iniziare consommé di cavolo, carote stufate e salumi vegani. Ho fatto buon viso a cattiva sorte ed ho spazzolato tutto. Poi è stata la volta del primo : Spaghetti di zucchine con peperoni. In quell’istante iniziai a fremere ma decisi di dar loro un’ulteriore chance. Finalmente arrivò il piatto forte, una bella e succulenta bistecca. Presi con foga la forchetta e la affondai nella pietanza.

La carne era talmente tenera che si sarebbe potuta tagliare con un grissino .

Sollevai il boccone e lo avvicinai alle labbra, il profumo inebriante mi solleticava le narici, finalmente avrei soddisfatto anche il palato.

Da quel momento in poi, signor Giudice , i miei ricordi diventano nebulosi. Ricordo solo un forte sapore di soia e di lenticchie, forse anche di broccoli e di aglio. Signor giudice, mi creda, mai in vita mia mi sarei aspettato un simile affronto. Ho accettato il consommé, tollerato la plastilina affettata, sorriso alle zucchine, ma la bistecca vegana… signor Giudice, signori giurati, invoco la seminfermità del palato e chiedo a codesta corte di essere assolto per legittima difesa!

La fame è il condimento del cibo.