Pazzo per lei

è un film  spagnolo, titolo originale “Loco por ella” del regista Dani de la Orden, in programmazione su Netflix, genere sentimentale, che ho visto ieri sera. Un’ora e quaranta di rilassatezza.

Un film commovente e divertente che raccontando, con poesia e delicatezza,  una storia d’amore non convenzionale, tratta allo stesso tempo, con la stessa delicatezza, il tema delle malattie mentali e delle case di cura.

Non amo spoilerare ne i film ne i libri per non togliere il gusto della visione quindi  riporto precisa la trama presente su Netflix “Dopo aver trascorso una serata scatenata insieme, Adri scopre che l’unico modo per rivedere Carla è diventare un paziente del centro di salute mentale dove lei risiede”
Nel film  si contendono lo spazio fino a sovrapporsi la commedia romantica con tutti i suoi cliché e stereotipi, e ne è il tema centrale, e  un approccio al mondo delle malattie mentali.
Una storia d’amore che nasce una sera qualsiasi tra due persone all’apparenza normali e si trasforma, poi,  in qualcosa di più complesso. È a questo punto che il film va a toccare il mondo delle patologie mentali facendole emergere grazie alle varie personalità di alcuni interpreti.

Quello delle patologie mentali è un mondo con cui ho avuto occasione di interagire, so che non è facile da trattare e da far capire e,  nel tentativo di farlo, mettere troppo l’accento sugli aspetti più duri, potrebbe facilmente allontanare chi guarda, ma non metterlo potrebbe rendere le storie ridicole e grottesche. A mio avviso è stato fatto, invece, con garbo, delicatezza e la giusta dose di umorismo, con una  leggerezza che non è superficialità, ma rispetto, che strappa qualche sorriso o risata, ma commuove anche e diventa tenerezza.

Molto bravi i due protagonisti nel rendere veritieri i loro personaggi e la loro alchimia dal primo approccio fino alla loro evoluzione, quando, prendendo coscienza dei loro limiti, fanno il salto di qualità che li rende, sicuramente, migliori. E’ il momento in cui Adri capisce che il suo motto “Volere è potere” non può valere sempre e non può valere per tutti.

Non da meno sono stati gli altri attori, con le loro storie di disagio mentale che si intrecciano a quella dei protagonisti, rese veritiere da un interpretazione capace ed efficace.

Nel film una frase esprime, chiaramente, la complessità del mondo di chi soffre di patologie mentali più o meno gravi che siano “La difficoltà di avere una malattia mentale è che la gente vuole che ti comporti come se non l’avessi” è una frase su cui riflettere e porci qualche domanda.


Buona visione se decidete di guardarlo.

Perchè non ci viviamo questa notte? Poi non ci rivedremo mai più. Programmiamo una notte perfetta che sia impeccabile” Carla

#mimancailcinema

Il club del libro e della torta di patata di Guernsey (Mary Ann Shaffer & Annie Barrows)

Non ho l’abitudine di guardare film tratti da libri che ho letto, sono convinta che se ho amato il libro il film non mi piacerebbe. Stavolta è andata diversamente prima ho guardato il film su Netflix perchè incuriosita dal titolo, e si il film mi è piaciuto, poi ho scoperto che era tratto da un libro e mi sono detta “debbo leggerlo”.

Il film è stato bello, ha colto bene la storia d’amore che vive anche nel libro e caratterizzato bene i vari personaggi e i luoghi, ma il libro è un’altra storia. E’ il libro che non ti aspetti, che ti coinvolge al punto che ne diventi parte e allora piangi, ridi, ti emozioni insieme ai suoi personaggi, in pratica il film lo giri te. Con la tua immaginazione e aiutata dalle descrizioni dell’autrice, dipingi la tua Juliet, i tuoi Sidney, Dawsey e via, via il film prende vita e tu ci sei dentro, apri le porte, sbirci nelle stanze, senti gli odori, i rumori. Un libro emozionante, commovente, coinvolgente, ipnotico, frizzante, in una parola meraviglioso!

“Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey” è un romanzo epistolare, è lo scambio di lettere tra un gruppo di personaggi che per vari motivi, anche fortuiti, entrano in contatto tra loro. Juliet, la protagonista, ne è il fulcro. E’ grazie alla sua empatia che si innesca una fitta corrispondenza epistolare tra i personaggi che mi ha catturata e catapultata in un viaggio bellissimo nell’anno 1946, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, tra Londra, la Scozia per approdare, infine, sull’isola di Guernsey accanto a lei. Juliet è una ragazza simpatica, arguta, indipendente, di professione scrittrice che, avvezza a scrivere pezzi umoristici, ha deciso di voler scrivere un libro serio, perciò è in cerca di una storia da raccontare.

La fantasia dell’autrice, Mary Ann Shaffer, ha ricamato su eventi storici realmente accaduti e su cui si è ampiamente documentata, una storia di coraggio, amicizia, solidarietà, di amore per la lettura, direi una lode al potere dei libri. E’ la storia di come nasce il club del libro di Guernsey, isola della Manica al largo della costa della Normandia, ma dipendente dalla corona Britannica, il perché di quel nome, dei vari personaggi che fanno parte del club e di Juliet che, grazie alla lettera ricevuta da uno di loro, ne viene a conoscenza.

“Gentile signorina Ashton,
mi chiamo Dawsey Adams e vivo nella mia fattoria a St. Martin’s Parish, sull’isola di Guernsey. la conosco perchè ho un vecchio libro che un tempo apparteneva a lei, Saggi scelti di Elia, di un autore il cui vero nome era Charles Lamb. All’interno della copertina era riportato il suo nome assieme all’indirizzo”

Sono gli stessi personaggi, tutte persone semplici che, tramite le varie lettere, raccontano le loro esperienze di vita e gli orrori vissuti durante la guerra che, anche se drammatici, sono dipinti dall’autrice con tinte così delicate da renderli commoventi. E nell’intreccio di queste storie, prende vita anche la storia d’amore di Juliet.

Nel 2006 una casa editrice accettò il manoscritto del libro, ma pretese dei cambiamenti che Mary Anne Shaffer, gravemente malata, affidò a sua nipote Annie Barrows presente anche lei come autrice.

Che il libro mi sia piaciuto molto lo avete capito, qualcuno di voi lo ha letto? Gli è piaciuto?

“Leggevamo, parlavamo, discutevamo di libri e così diventammo sempre più uniti. Altri isolani chiesero di partecipare e le nostre serate insieme si trasformarono in riunioni allegre e spensierate. Riuscivamo quasi a dimenticare, a volte, il buio che imperava” (da Amelia a Juliet)

“Il catalogo delle donne valorose”

Mai e poi mai avrei pensato che leggere un catalogo potesse essere interessante e illuminante.

Se penso ad un catalogo il primo che mi viene in mente è quello di Ikea, il secondo quello dei premi conad, poi “il catalogo premi è scaduto” del corso di scrittura, che mi sta ancora facendo impazzire nel tentativo di tirarne fuori una storia che ho ben delineata in mente, ma che richiede di dover fare delle ricerche per poterla scrivere e altri che nella vita ci si trova a consultare per un acquisto o altro.

Quindi, quando qualche giorno fa, mi è stato regalato “Il catalogo delle donne valorose” di Serena Dandini, di cui non conoscevo l’esistenza, l’ho sfogliato subito con estrema curiosità.

Un catalogo con storie di donne che nella loro vita si sono distinte per tanti motivi, donne coraggiose e intraprendenti che hanno creduto e portato avanti i loro ideali con forza, ma che, difficilmente, troviamo citate nei libri di storia o a cui raramente è stato riconosciuto il valore delle loro idee o azioni. Donne inserite in questo catalogo perchè, per ognuna di loro, qualche vivaista ha creato una rosa che le ricordasse portando il loro nome.

Storia dopo storia, o rosa dopo rosa ho conosciuto trentaquattro donne valorose.

Alcune mi erano note, altre no, ad alcune mi sono sentita più vicina ad altre meno, ma ciò non toglie che ognuna di loro, presa nel contesto storico e sociale in cui ha vissuto, è stata all’avanguardia per gli ideali, lotte, scoperte, studi o ricerche, che in alcuni casi sono ancora di attualità. Penso, in particolare, alle lotte per affrancarsi come donne libere e indipendenti che tante donne ancora combattono.

Perchè diciamocelo chiaramente, essere donne non è sempre così facile come essere uomini, specialmente essere donne valorose, gli ostacoli ancora ci sono, superarli richiede sacrifici e salire sul podio del riconoscimento è ancora molto difficile.

Il piccolo inconveniente da secoli è che non c’è nessun podio o inno pronto ad accogliere queste vincitrici, né tantomeno una medaglia da appuntar loro al petto. È un annoso argomento che studiose molto più autorevoli di me hanno già posto all’attenzione mondiale: per semplificare la pratica potremmo dire che, mentre l’Uomo Invisibile è diventato una star cinematografica, le donne spesso sono invisibili e rimangono tali.

Un libro che andrebbe letto da tutte le donne, ma anche dagli uomini che capiranno di che tempra son sempre state le donne anche se di secoli passati, sempre lungimiranti, scaltre, intraprendenti, allora come ora.

Ma quante donne, nella vita di ognuno di noi, meriterebbero una rosa che le ricordi? Personalmente mi vengono in mente le mie nonne, mia mamma. Nelle loro vite, semplici e complesse all’unisono, sono state donne di grande valore, che mi hanno insegnato molto. Penso anche ad alcune mie amiche che non hanno avuto per nulla vite semplici, ma hanno trovato la forza di farcela, superare gli ostacoli e uscirne più forti, anche quelle che, tutt’ora, stanno lottando e spero ce la faranno, si una rosa anche per tutte loro che resteranno sconosciute al mondo, ma non a me.

Ci vorrebbe una rosa che si chiami “donna valorosa” per tutte quelle donne che non saranno mai in nessun libro, ma saranno le eroine del loro piccolo mondo.

“È facile per una donna essere valorosa. Il salto mortale per tentare di mettere insieme casa, lavoro (sempre se si riesce a trovarne uno), magari figli e cure sparse a parenti vari… già dovrebbe far scattare una decorazione al merito.”

“I cieli di Philadephia” di Liz Moore

Un libro con una partenza diesel, almeno per me, che ho faticato ad entrare nella storia e un paio di volte sono stata tentata di abbandonarlo. Ringrazio, però, la mia determinazione a dover portare a termine ciò che inizio perché, ad un tratto, mi sono trovata catapultata in un bellissimo romanzo, di cui, successivamente, ho faticato ad interromperne la lettura per dedicarmi anche ad altri impegni. Quando il motore è entrato a pieni giri, non sono mancati colpi di scena e azione ed anche il finale è stato, per me, una vera sorpresa.

“I cieli di Philadelphia” è un romanzo giallo, ma non solo, è un romanzo psicologico e di formazione in cui si mescolano, fino a fondersi in alcuni momenti, la storia familiare della protagonista, di sua sorella e un caso di polizia. E’ ambientato a Kensington, quartiere degradato di Philadelphia, e le storia si snoda negli ambienti malfamati del quartiere tra personaggi dalla dubbia moralità, poliziotti corrotti, tossici e giovani prostitute. Un’incursione nella società americana che la penna di Liz Moore ha reso molto realistica.

Il racconto si apre sulla scena di un delitto, quello di una giovane prostituta, da cui si discosta quasi subito per spostarsi sulla protagonista, Michaela Fitzpatrick, agente di polizia e voce narrante, che inizia un racconto del suo passato e quello di sua sorella e la sua ricerca di quest’ultima. I due filoni narrativi si alternano, fino alla fine, in un arco temporale che è un “allora” e “adesso”. Passato e presente che si lasciano e prendono continuamente tramite eventi di adesso che portano a riflettere su scelte di allora, per, poi, ritornare ad adesso.

Nel corso della storia c’è un prendere coscienza da parte di Michaela delle implicazioni psicologiche che gli eventi familiari e sociali passati, hanno avuto sulla vita sua e quella di sua sorella portandole ad essere quello che sono: due persone diametralmente opposte, ma che, in qualche modo, nonostante il distacco e le incomprensioni nel loro vissuto, sono sempre legate una all’altra.

Ci allontanammo sempre più l’una dall’altra. Senza di lei la mia solitudine diventò clamorosa, un rumore di fondo costante, un arto supplementare, una lattina vuota che mi tiravo dietro ovunque andassi

Rimaste orfane, ancora bambine, sono cresciute, dalla nonna Gee, in un ambiente in cui l’affettività è sempre stata latente, ma una ne “sembra” uscita responsabile e retta in grado di un riscatto sociale che l’ha vista elevarsi rispetto all’altra rimasta vittima del degrado, della prostituzione, di una vita ai margini, un destino quasi ineluttabile sancito dal mondo di nascita e crescita. Due sorelle in contrapposizione che, nonostante la vita le abbia separate, trovano la forza di unirsi per superare le difficoltà di un destino molto duro.

Liz Moore ha una scrittura fluida e scorrevole, le sue descrizioni sempre precise e attente, non mancano di crudezza quando necessario, anche se, secondo me, in alcuni momenti si dilunga un po’ troppo in esse, ma, probabilmente, è ciò che rende la storia alquanto realistica. I personaggi sempre ben delineati denotano uno studio attento nella costruzione della loro psicologia ed emotività. Niente viene lasciato al caso, ogni tassello del puzzle è messo con estrema cura, fino a portare una storia articolata ad un finale chiaro e ordinato come un puzzle appena completato.

Un romanzo forte che pian piano arriva a colpirti, ne consiglio la lettura.

Questo libro è per chi ha un posto segreto dove conservare i ricordi più cari, per chi ha visto cadere la neve sul palco dello Schiaccianoci, per chi da piccolo storpiava irrimediabilmente ogni parola, e per chi ha trovato il coraggio di affrontare i propri errori in nome della verità, per aprire gli occhi sul mondo come fosse la prima volta.

“Niente caffè per Spinoza” di Alice Cappagli

Un libro simpatico e delicato che consente un tuffo nella “toscanità” sia come linguaggio, che lo rende divertente e leggero, che come luoghi, perché ambientato principalmente a Livorno, simpatico è anche l’aneddoto che diventa poi il titolo del libro.

Un romanzo che racconta una storia che, per la sua semplicità e il realismo delle situazioni, viene di chiedersi se non sia vera. La storia dell’amicizia che nasce e cresce tra la “Marvi” Maria Vittoria, “perché il nome è importante” e il “Professore”, presso cui svolge il suo lavoro di governante e non solo. Infatti, per contratto, la Marvi ha il compito, oltre di rassettare la casa e cucinare, di leggere per lui. Sono essenzialmente massime di filosofi come Pascal, Epitteto, Voltaire , ecc, quelle che la Marvi andrà a leggere. Massime che il Professore conosce tutte a memoria, indicando ogni volta alla Marvi dove andarle a cercare con esattezza e ripetendole con lei se non addirittura completandole prima che lei finisca di leggerle

L’aveva sussurrata con me, parola per parola, e mi chiesi perché avesse voluto farmela leggere se la sapeva a memoria. Ma forse è come quando ti piace una canzone, che l’ascolti mille volte per risentirla”

Maria Vittoria vive un periodo difficile della sua vita e del suo matrimonio e nell’incontro con il Professore, ormai cieco da dieci anni, ma che vede benissimo nelle persone, che riesce anche solo ascoltando il cigolare di una porta a capire come sarà il tempo, che “riesce a vedere l’invisibile”, trova tante risposte alla sua inquietudine.

La loro amicizia nasce piano, come pian piano il Professore le rivela e racconta se stesso per mezzo della conoscenza che lei fa con la sua famiglia, i suoi amici, i ricordi sparsi per la casa e le sue massime e mentre la vita di Maria Vittoria dalla conoscenza di tutto ciò e dalla consapevolezza di “quanto può essere utile la filosofia nella vita di tutti i giorni” trova un nuovo stimolo per cambiare e andare avanti, quella del Professore che è malato ed ormai anziano va pian piano spegnendosi abbracciato dall’amore e dalla cura di questa nuova amicizia e di quelle passate.

“Niente caffè per Spinoza” è un libro intenso, colmo d’amore, che fa riflettere, poichè tutte le questioni sollevate dai grandi filosofi che sembrano così complicate e incomprensibili, il Professore le rende materia per riflettere sulla vita di ognuno di noi perchè ci sono più vicine di quanto possiamo immaginare.

“Mi era parso impossibile aver creato un pensiero così perfetto” (Maria Vittoria)

“Il peso”

Non è l’ennesimo post sulla dieta, ma “Il peso” è il titolo del libro che ho terminato di leggere in questi giorni, di Liz Moore.

“Ogni sera mi ripeto che domani sarà diverso e nuovo, che domani sarà meno brutto, anche di poco”

Sto pensando cosa scrivere di questo libro, perchè voglio scriverne, ma sono in difficoltà, non so da dove cominciare, per farvi capire di più dovrei narrarvi la storia, ma poi ne rovinerei la lettura. Posso, però, dirvi che ha smosso dentro di me una ridda di sensazioni che, in qualche momento, mi hanno fatto andare in crisi.

Vi consiglio di leggerlo anche se so che a qualcuno potrebbe non piacere. Io stessa mentre leggevo non riuscivo a capire quanto mi piacesse. Diversamente dal solito, che un libro lo divoro, ho interrotto la lettura diverse volte, mi sentivo tremendamente triste, sentivo il bisogno di staccare un pò e pensare ad altro, ma l’ho ripresa sempre, perchè si intuiva che sarebbe arrivato meglio. Adesso, dopo averlo metabolizzato, se dovessi dargli un punteggio, credo che il massimo sarebbe giusto. E’ un libro che fa riflettere, che fa vivere delle emozioni intense, si fa leggere bene, c’è forse un eccesso di descrizioni, ma la lettura scorre, comunque, fluida e fa ben sperare. Si mi è piaciuto!

Ho letto il libro dietro il suggerimento di un amico, non so se sia uno di quei libri che avrei comprato incrociandolo casualmente su uno scaffale in libreria, ma ho voluto fidarmi di chi me l’ha consigliato e l’ho acquistato.

Nel voto positivo che do al libro concorre un anedotto, nella prima pagina, grazie al quale è scattata la molla che mi ha spinto ad iniziare seriamente una dieta

Sono passati anni dall’ultima volta che sono stato in uno studio medico e allora ne pesavo duecentoquindici e hanno dovuto mettermi su una bilancia speciale.

non perchè sia sui 200 kg come il protagonista Arthur Opp, ma proprio per non arrivare mai ad un peso tale, finchè i kg da perdere non sono troppi, meglio darsi da fare. La “bilancia speciale” mi ha subito fatto pensare a quelle con cui pesano gli animali oppure i camion prima senza e poi a pieno carico. Se, all’inizio, ho usato questo aneddoto per far ridere la mia famiglia, sul perché ho iniziato la dieta , la realtà è che non reggerei all’imbarazzo nel sentirmi dire “Signora venga andiamo alla bilancia speciale” .

Ebbene si uno dei protagonisti del libro è un uomo in soprappeso, ma un sovrappeso importante non quelli di cui ci lamentiamo spesso noi donne che ci vediamo la pancia o il culone e urliamo “Ahhhh sono obesa”. Arthur Opp è un uomo molto grasso, maledettamente grasso, ma continua a mangiare tutto quello che vuole e non perde occasione per consolarsi con una buona dose di prelibatezze, apre il frigo e tira fuori di tutto, in casa sua c’è ogni tipo di cibo che acquista sempre online. Per Arthur, però, “il peso” non è solo quello corporeo, ma dietro a quel peso c’è molto di più.

Infatti, il tema che il libro tratta è il “peso della solitudine”, sia della solitudine auto imposta come quella di Arthur Opp che della solitudine causata dall’abbandono degli altri.

I personaggi sono tutti esseri fragili, descritti con una certa eleganza, che per scelta o no, sono soli e si sono incontrati nel corso delle loro vite. In ognuno di essi c’è il desiderio di riscatto da questa solitudine e lo cercano nella maniera che è loro più congeniale.

Tutti e due nascosti nelle nostre case, raggomitolati in noi stessi in solitudine. Entrambi soli. Avrebbe potuto essere tutto diverso, ho pensato. Molto diverso. Ma non ci ho riflettuto più di tanto.

Un libro che mi ha fatto riflettere molto sulla solitudine che è diversa dal mio amare “star sola”, che quando voglio ho la possibilità di avere compagnia o di confrontarmi con gli altri, uno “star sola” a cui, però, non vorrei un giorno abituarmi troppo da dire “Ma non ci ho riflettuto più di tanto” oppure “Mi sentivo destinato alla solitudine, certissimo che un giorno mi avrebbe trovato, così quando è accaduto non mi sono stupito e l’ho perfino salutata con gioia

Buona lettura a tutti solitari e non!

“La zirba” di Irene Tortoreto

Una favola per grandi e piccini.

Le favole dove stanno?
Ce n’è una in ogni cosa:
nel legno del tavolino,
nel bicchiere e nella rosa.
(Gianni Rodari)


L’autrice ho iniziato a conoscerla, casualmente, qui in WordPress. I suoi articoli sono sempre piacevoli da leggere, ha un modo scorrevole di proporsi, pulito e con il giusto accenno di ironia. Dopo aver letto qualche suo articolo ho scoperto che è una scrittrice ed ha già pubblicato il suo primo libro; quindi, una curiosa come me non poteva non leggerlo. Avrei voluto aspettare il cartaceo, ma poiché non mi arriverà prima di giugno e la curiosità c’è … Ho scaricato l’ebook.

Un libro che ti prende e ti porta con se.

Mi sono letteralmente immersa nel suo mondo da favola, tra gnomi operosi e natura da incanto, quasi trattenendo il respiro fino alla fine per paura di rovinare la magia.

Da subito mi sono sentita un pò Irma, la protagonista, ma come al mio solito non vi svelo la trama della favola per non rovinare la sorpresa: riporto solo le mie sensazioni.

La narrazione scorre fluida ed elegante e non risparmia descrizioni accurate che ti avvolgono come una una nuvola di colori e non sai a cosa dare attenzione perché ogni particolare la merita.

Irma è alla ricerca della felicità; del resto tutti noi siamo un pò Irma e, come lei, rincorriamo la felicità. La strada che ci indica Irene (l’autrice) è sicuramente la più indicata per farlo … Trovare il coraggio di lasciarsi guidare dalla curiosità, di scrollarsi di dosso paure, stereotipi e credenze limitanti ed assecondare i nostri sogni e bisogni in un cammino di ricerca che ci porterà senz’altro a scoprire cosa è la felicità e ciò di cui abbiamo bisogno per viverla appieno.

Non meno importanti, di questo suggerimento che ci viene dato, sono i valori di cui è intrisa la favola: “rispetto degli altri e della natura”, che si evincono dai modi garbati di Irma; la forza degli gnomi che fanno “comunità”; la “solidarietà” degli stessi; “la famiglia” di Irma da cui lei trae ispirazione e insegnamento; valori accennati con semplicità ma che arrivano con forza.
Grazie Irene per la bella favola che mi hai permesso di vivere e complimenti per averla scritta, merita, sicuramente, di essere letta e di essere raccontata.

Il giallo delle pagine mischiate

Questa mattina ho letto un libro, un libricino, un libretto, non saprei. Sono solo 123 pagine, un libro che mi ha lasciata basita, divertita, incuriosita, un libro che ha raggiunto il suo scopo. Onestamente c’ho capito molto poco, però mi sono divertita nella lettura e lo rileggerò una seconda volta per vedere se riuscirò a dargli un senso.
L’ho trovato sul comodino di mio marito e mi ha, da subito, intrigata la copertina su cui c’è anche attaccato il bollino con il nome della libraia della Feltrinelli che l’ha consigliato, e mi sono anche chiesta “Chissà se ha gusto nel consigliare?”

Leggere è andare incontro a qualcosa che sta per essere e ancora nessuno sa cosa sarà.
(Italo Calvino)

Una volta preso in mano anche la carta mi ha dato subito una bella sensazione tattile e a quel punto non ho resistito, lasciato il fare e il da farsi mi sono distesa sul letto, ancora sottosopra, e mi sono immersa nella lettura fino a dimenticare il pranzo “Oh mà? Non si pranza oggi?”
È un libro bizzarro, un giallo un pò strambo, di cui al momento non mi è chiaro molto, ma che ha raggiunto il suo scopo, tenermi impegnata a leggerlo fino alla fine in uno stato di attesa e di divertimento, l’attesa di capirci qualcosa e il divertimento per non averci capito nulla.
Si tratta di un libro nel libro e forse ancora nel libro, un pò come il gatto che si mangia la coda, ogni libro in qualche modo ti riporta all’altro libro. Sono due filoni narrativi nella stessa storia e, mentre di uno si segue un filo logico, dell’altro, il giallo, che è il protagonista della storia, non esiste un ordine e la storia è proprio qui, nelle “pagine mischiate”, nel fatto che regni il caos, quindi continui a leggere pensando che prima o poi il caos prenderà un ordine.
Esiste una storia, anzi 2 e forse anche 3, la terza lasciata più all’immaginazione di chi legge, ma dico solo che è ambietata a Parigi, non dico altro, non voglio fare spoiler, mi serve dire di Parigi perchè, a tratti, ho avuto quasi la sensazione di leggere un qualcosa di Daniel Pennac, non so se proprio perchè c’è Parigi di mezzo o se per i nomi dei personaggi o i personaggi stessi che mi hanno riportato alla mente alcuni dei suoi o forse, un pò, anche il modo di scrivere, con precisione non lo so, ma è stata la mia sensazione.
L’autore è Pablo De Santis, di Buenos Aires, del 63. Non lo conoscevo, ma ho letto nella biografia in fondo al libro che è un importante e famoso autore conosciuto in molti paesi. Ho visto anche che il libro è catalogato come libro per ragazzi, non lo sapevo, ma anche se non sono più una ragazza mi è piaciuto lo stesso.
Cosa dirvi ancora? Buona lettura se decidete di leggero, io lo rileggo di nuovo provando a dare un ordine ai capitoli e magari chissà, potremmo confrontarci e vedere se abbiamo dato lo stesso ordine, ma può rimanere anche disordinato com’è, resta comunque un libro gradevole, del resto “il disordine non è sempre caos. A volte è un altro ordine. Però segreto” lo ha detto l’autore, mica io!

Favola d’amore

una lettura di Hermann Hesse breve, ma intensa, che ho ripreso in mano questa mattina, mentre spolveravo la mia libreria. Ho pensato di condividerla con voi, magari la conoscete già, ma se non la conoscete ve la consiglio. Si tratta di un libricino di appena 7 pagine, da leggere nella pausa caffè o tra un spolverata ai mobili e l’altra. Se fosse una canzone vi direi di “ascoltarla” ad occhi chiusi, racconta di un mondo magico da sognare e immaginare mentre si sta leggendo … un mondo in cui Pictor riesce a capire il vero senso del vivere … una favola d’amore come la definisce lo stesso Hermann Hesse. Non aggiungo altro per non togliere la curiosità di leggerlo, per me, questo libricino, è stato una bellissima scoperta, lo sfoglio spesso, lo rileggo e ogni volta mi dice qualcosa di nuovo …

“Lui invece, l’albero Pictor, rimaneva sempre lo stesso, non poteva più trasformarsi. Dal momento in cui capì questo, la sua felicità se ne svanì: cominciò ad invecchiare e assunse sempre più quell’aspetto stanco, serio e afflitto, che si può osservare in molti vecchi alberi. Lo si può vedere tutti i giorni anche nei cavalli, negli uccelli, negli uomini e in tutti gli esseri: quando non possiedono il dono della trasformazione, col tempo sprofondano nella tristezza e nell’abbattimento, e perdono ogni bellezza.” (Favola d’Amore-  Hermann Hesse)