Erotica apparenza

Dammi 3 parole: brutto, tagliato, quindicina

Solo a guardarla ho l’acquolina in bocca, invece non capisco se lei sia più spaventata o disgustata,  sembra abbia visto il demonio “È una pizza rilassati!” le dico “nulla di tanto pericoloso!”

Con le pupille fisse che sembrano sul punto di saltar fuori dalla loro sede naturale, forse più per una blefaroplastica esagerata che il disgusto, mi grida “Non puoi mangiarla!” e subito dopo, voltandosi indispettita, si dirige nel corridoio davanti allo specchio “per spazzolarsi i fluenti capelli biondi che nell’ultimo decennio non ha mai tagliato per questo sono così voluminosi” (parole sue). Mentre sistemo la tovaglia sulla tavola osservo con la coda dell’occhio il suo rimirarsi soddisfatta e la delicatezza dei suoi movimenti di spazzola, del resto non può metterci troppa forza, rischia di rovinare le extension.

Tra un colpo di spazzola e l’altro continua a ripetermi “Non mangiarla, ti farà  male! Non sai che la farina  favorisce diabete e tumori, mentre il lievito provoca gonfiore addominale? Mangia i cavoli, le zucchine, quelli si che fanno bene” “I cavoli tuoi farebbero anche meglio” penso prendendo un piatto nella dispensa e lasciando che continui a parlare “I pomodori dell’orto, gli spinaci” e tra me e me “bla bla bla”.

Eccola che torna “Sei proprio decisa a mangiarla?!” “Certo che non sei insistente nemmeno un pò! Si l’ho preparata perché mi andava ed ora la mangio” le rispondo piuttosto seccata mentre la osservo indossare la giacca che lascia aperta affinché si veda il maglioncino che mette ben in evidenza le tette. Con quello che le sono costate, circa un anno fa, non può mica nasconderle! Non è rimasta soddisfattissima del risultato, il chirurgo ha potuto farle solo una seconda, ma le ha consigliato di mangiare di più e mettere su un pò di ciccia così aumentano anche in maniera del tutto naturale. Magari una bella pizza super farcita al posto di due zucchine bollite e un finocchio?

Qualche mese prima di farsi le tette aveva sollevato gli zigomi e gonfiato le labbra. Queste ultime, ogni tanto, le richiedono un pit stop e quando lo fa, per un periodo,  il culo di gallina le riesce da manuale, poi pian piano si sgonfia e allora vai di nuovo con il pit stop.

Ovviamente anche i suoi glutei non sono immuni a ritocchi. Qualche anno fa li ha sottoposti ad un trattamento, ma non so quale.  Per avere quasi sessant’anni  sono  perfetti, i miei nemmeno a 30 erano così, forse, ogni tanto, dovrà revisionare anche loro? Saranno estate/inverno come le gomme? Ogni due per tre fa l’ozonoterapia, ma non ricordo di preciso a che pro se per le gambe o l’ addome. Farsi iniettare ozono è sicuramente più salutare di quel brutto e cattivo lievito di birra.

“Vado, ci vediamo la prossima settimana. E non mangiarla ti farà male!” mi dice accennando un saluto con la mano e dirigendosi verso la porta di casa “Ok non la mangio, ciao!” le rispondo pensando che è una gran  rottura di balle. “Dimenticavo,  posso mandarti su WhatsApp i nomi di un paio di prodotti. Me li puoi cercare online e ordinarmeli?” “Ok manda pure” le rispondo mentre chiude la porta.

Un paio di mesi fa  mi ha chiese di cercarle  un prodotto a base di collagene da prendere ogni sera, un’altra volta l’argilla che fa bene per il gonfiore addominale e per il fegato, questo lo disse una volta in cui le chiesi se voleva unirsi al tè e pasticcini che stavo prendendo con delle amiche. “Sei matta? Io prendo solo argilla” “Argilla?!” rispondemmo in coro.

Una quindicina di giorni fa mi ha fatto ordinare l’avena. Li per li alla parola aveva ho pensato avesse un cavallo, invece ci fa colazione.

Il messaggio è arrivato, questa volta le serve il fieno greco “Questo mi è nuovo” penso “A cosa servirà? Avrà di nuovo un cavallo?” no rassoda il seno “Mon dieu! Ma se lo ha nuovo di zecca?!”

Fieno ordinato. Finalmente mi siedo pronta a gustarmi la mia pericolosissima e, forse, mortale pizza sperando di non morire avvelenata prima di averla terminata. Sorridendo ripenso al suo “Mangia i cavoli” e mi scappa un “Tiè”  dopodiché   affondo con gusto e soddisfazione i denti in quel boccone caldo e filante che, fino all’ultimo boccone, inebria tutti i miei sensi e distogliendo l’occhio da ogni mio rotolino o cedimento strutturale penso “Cavoli son viva! Che fortuna!”, e così ci ho messo anche i cavoli, contenta mia cara?

“Sono per la chirurgia etica, bisogna rifarsi il sennò” Alessandro Bergonzoni

Il club del libro e della torta di patata di Guernsey (Mary Ann Shaffer & Annie Barrows)

Non ho l’abitudine di guardare film tratti da libri che ho letto, sono convinta che se ho amato il libro il film non mi piacerebbe. Stavolta è andata diversamente prima ho guardato il film su Netflix perchè incuriosita dal titolo, e si il film mi è piaciuto, poi ho scoperto che era tratto da un libro e mi sono detta “debbo leggerlo”.

Il film è stato bello, ha colto bene la storia d’amore che vive anche nel libro e caratterizzato bene i vari personaggi e i luoghi, ma il libro è un’altra storia. E’ il libro che non ti aspetti, che ti coinvolge al punto che ne diventi parte e allora piangi, ridi, ti emozioni insieme ai suoi personaggi, in pratica il film lo giri te. Con la tua immaginazione e aiutata dalle descrizioni dell’autrice, dipingi la tua Juliet, i tuoi Sidney, Dawsey e via, via il film prende vita e tu ci sei dentro, apri le porte, sbirci nelle stanze, senti gli odori, i rumori. Un libro emozionante, commovente, coinvolgente, ipnotico, frizzante, in una parola meraviglioso!

“Il club del libro e della torta di bucce di patata di Guernsey” è un romanzo epistolare, è lo scambio di lettere tra un gruppo di personaggi che per vari motivi, anche fortuiti, entrano in contatto tra loro. Juliet, la protagonista, ne è il fulcro. E’ grazie alla sua empatia che si innesca una fitta corrispondenza epistolare tra i personaggi che mi ha catturata e catapultata in un viaggio bellissimo nell’anno 1946, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, tra Londra, la Scozia per approdare, infine, sull’isola di Guernsey accanto a lei. Juliet è una ragazza simpatica, arguta, indipendente, di professione scrittrice che, avvezza a scrivere pezzi umoristici, ha deciso di voler scrivere un libro serio, perciò è in cerca di una storia da raccontare.

La fantasia dell’autrice, Mary Ann Shaffer, ha ricamato su eventi storici realmente accaduti e su cui si è ampiamente documentata, una storia di coraggio, amicizia, solidarietà, di amore per la lettura, direi una lode al potere dei libri. E’ la storia di come nasce il club del libro di Guernsey, isola della Manica al largo della costa della Normandia, ma dipendente dalla corona Britannica, il perché di quel nome, dei vari personaggi che fanno parte del club e di Juliet che, grazie alla lettera ricevuta da uno di loro, ne viene a conoscenza.

“Gentile signorina Ashton,
mi chiamo Dawsey Adams e vivo nella mia fattoria a St. Martin’s Parish, sull’isola di Guernsey. la conosco perchè ho un vecchio libro che un tempo apparteneva a lei, Saggi scelti di Elia, di un autore il cui vero nome era Charles Lamb. All’interno della copertina era riportato il suo nome assieme all’indirizzo”

Sono gli stessi personaggi, tutte persone semplici che, tramite le varie lettere, raccontano le loro esperienze di vita e gli orrori vissuti durante la guerra che, anche se drammatici, sono dipinti dall’autrice con tinte così delicate da renderli commoventi. E nell’intreccio di queste storie, prende vita anche la storia d’amore di Juliet.

Nel 2006 una casa editrice accettò il manoscritto del libro, ma pretese dei cambiamenti che Mary Anne Shaffer, gravemente malata, affidò a sua nipote Annie Barrows presente anche lei come autrice.

Che il libro mi sia piaciuto molto lo avete capito, qualcuno di voi lo ha letto? Gli è piaciuto?

“Leggevamo, parlavamo, discutevamo di libri e così diventammo sempre più uniti. Altri isolani chiesero di partecipare e le nostre serate insieme si trasformarono in riunioni allegre e spensierate. Riuscivamo quasi a dimenticare, a volte, il buio che imperava” (da Amelia a Juliet)

Un anno o poco più

dall’esplosione silenziosa e invisibile che ci ha travolto.

Un anno o poco più in cui abbiamo sperato, pregato che  tutto andasse bene.

Un anno o poco più in cui abbiamo sacrificato affetti, libertà, vite.

Un anno o poco più in cui, nonostante tutto, continuiamo a dimostrare di non capire un cazzo

Lui c’è e per esserci si serve di noi, è come un cappio intorno al nostro collo che più ci ribelliamo e più ci soffoca.

prendetela come l’immagine di una qualsiasi delle nostre città

Ci risiamo!

Da domani la mia città, anzi tutta la provincia sarà di nuovo zona rossa. Ormai da giorni si sapeva del numero dei contagi in crescita esponenziale, ma soprattutto della preoccupazione per la presenza delle varianti inglese e brasiliana, perciò il nuovo lockdown in zona rossa non mi ha sorpresa affatto.

Il primo lockdown di marzo ci toccò perché era nazionale e indiscriminato. Se allora si fossero usati gli stessi criteri, probabilmente saremmo stati giallo chiaro. Infatti in Umbria i casi non furono moltissimi e, nel giro di poco tempo, scesero a zero. Della cosa i miei conterranei iniziarono a vantarsene sui social “perché il distanziamento sociale l’emo ‘nventato noi” dando il via a tutta una serie di meme

l’umbro, ma oserei dire il perugino, n’dà confidenza manco nei giorni di festa, ùsta n’tol suo,

n’vòle tante nanne e tanta gente intorno,

n’te saluta manco si te conosce da ‘na vita e te viene a sbatte pel corso,

è rustico de’ natura…

e vi par che non si sarebbe trovato alla grande con il distanziamento sociale??

l’emo inventato noi…da sempre…”

che posso certificare essere veritieri, senza capire, invece, che avevamo avuto solo un gran culo.

“Culo” che, a quanto pare, da settembre in poi, ci ha abbandonati. Nemmeno avere inventato il distanziamento “asociale” è stato d’aiuto. Siamo stati così asociali che il virus lo abbiamo anche importato dall’estero.

Il problema, infatti, non è solo la distanza asociale, ma il rispetto delle regole anche se le regole, forse, sono troppo flessibili da far rispettare.

Nell’ ultimo periodo di zona arancione “lo stato di necessità” ha concesso di  poter fare di tutto, anche andare nei negozi del comune limitrofo se era una necessità.  In pieno lockdown arancione si andava dal restauratore in un altro comune perchè la vetrina o la sedia restaurata erano una necessità impellente. Vicino al restauratore c’era l’antiquario, “un giro li non potevo non farlo!”. Poco più in la, magari, il rigattiere “Ci trovo sempre cose interessanti” oppure comprare la farina di grani antichi macinata a pietra nel mulino del comune più lontano, perchè “fare le tagliatelle con la farina del supermercato sotto casa mi sembrava brutto” … tutte scuse che ho sentito usare per necessità.

E durante il lockdown rosso? Natale, fine anno, befana? Sono stati fatti pranzi e cene in famiglia come nulla fosse   “Il virus ce l’hanno gli altri mica noi!” Ovviamente senza mancare di invitare le 2 persone concesse per legge “Vi mandiamo l’invito su whatsapp e potete venire” a due lo manda lui, a due lo manda lei, sempre due sono “No grazie preferisco continuare a fare l’asociale”

Non so per l’ intercessione di quale santo o demone mia suocera, soggetto immunodepresso, verso cui abbiamo avuto sempre innumerevoli attenzioni,  non sia stata contagiata dopo aver partecipato al brindisi di fine anno a casa della vicina che aveva riunito figli, nipoti e pronipoti. Dopo una settimana erano tutti positivi e, tranne i pronipoti, tutti con sintomi. Mia suocera grazie al tampone negativo se l’è cavata con quindici giorni di quarantena insieme ad una bella paura che spero le servirà, almeno, per diffidare dei futuri brindisi anche con i conosciuti.

A causa di tutto ciò, dei pochi controlli e della grande disorganizzazione, da domani ci risiamo!

Grazie asociali non vedevo l’ora di altri quindici giorni di lockdown!

L’acquerello (Dammi 3 parole)

Ormai saprete del gioco iniziato con la mia socia di blog, in caso contrario leggete qui. Il testo a seguire è frutto del mio tentativo di giocare, le parole che la mia socia mi ha assegnato sono state: gambo, cibo e disegno

L’acquerello

Alcuni segni neri imprecisi si librano in volo su un cielo azzurro, mentre altri si nascondono tra le nuvole bianche sparse qua e là. Un grande tondo giallo arancio, spropositato per quel cielo, si affaccia da dietro una nuvola, è il sole che espande i suoi raggi fino alle montagne coperte di neve che segnano la linea dell’orizzonte. Sotto quel cielo azzurro la neve brilla. In basso un lago ghiacciato è incastonato tra le montagne. Sulla riva del lago, tra gli alberi innevati, una casetta in legno prende vita. Ha il tetto coperto di neve e un comignolo da cui un fumo bianco e grigio sale verso l’alto.

“Bello!” pensò Adele osservando il disegno appena trovato nel cassonetto e chiedendosi se fosse stato un bambino o una bambina a disegnarlo. “Perché lo avranno buttato?” disse mentre con la mano guantata a righe marrone e arancio spostava una fogliolina ormai secca che vi era attaccata e lo ripuliva da qualcosa di appiccicoso. Lo guardò bene un’ultima volta e lo mise nella busta piena di stracci che aveva con sé continuando, subito dopo, la sua ricerca nel cassonetto.

Era alla ricerca di qualcosa di commestibile e, di solito, era fortunata: un gambo di sedano o il gambo di un carciofo, una carota un po’ rinsecchita, qualche patata vecchia, un limone muffo a metà, si trovavano. Nei giorni più fortunati riusciva a trovare qualche uovo scaduto da poco e ancora integro o della pasta e, allora, riusciva a mettere insieme qualche pietanza quasi decente: una frittata di gambi di carciofo o una frittata con le patate, una pasta in bianco, ma bianca proprio, il parmigiano e l’olio non li aveva mai trovati. Quegli scarti di cibo erano la sua fortuna, anzi la sua sopravvivenza. Ogni tanto provava ad immaginare quelle persone così fortunate da poter gettare via le uova scadute da poco o le patate solo perché avevano qualche germoglio, ma non poteva soffermarsi a lungo su quell’immagine senza sentire una stretta al cuore.

“Spesa fortunata oggi” pensò Adele trovando un pacco di spaghetti e uno yogurt scaduti da poco che, sentendo avvicinarsi il camion della nettezza urbana, mise velocemente nella solita busta per poi incamminarsi soddisfatta, specialmente per aver trovato il disegno. Era la stessa soddisfazione che provava quando trovava un libro o un giornale ancora leggibili anche se alla tenue luce di un mozzicone di candela.

Il cassonetto era vicino ad uno di quei bei palazzi signorili che costeggiavano la strada lungo il fiume. Adele non viveva molto lontano, doveva camminare solo qualche centinaio di metri ed arrivare al ponte lì vicino.

La sua casa, con le pareti di lamiera e cartone che la dividevano da altri come lei, aveva il ponte come tetto. Quel ponte univa gli argini del fiume che la separava dal suo passato. Da tanto tempo, ormai, lottava per cancellare quel passato dalla mente, convinta che non potesse più tornare.

Era una comunità piccola quella in cui viveva ora. Vi si era inserita qualche tempo prima, una comunità ai margini, dove la vita stessa era un optional e non poteva pretendere altro. All’inizio non era stato facile, qualche lite più o meno violenta, qualche insulto per trovare una sistemazione, finché non era riuscita ad appropriarsi di quell’angolo e nessuno le aveva dato più fastidio. Un fuoco, che divideva con gli altri, la scaldava quando era molto freddo e le consentiva di prepararsi un po’ di cibo.

Arrivata nel suo angolo, tirò fuori dalla busta il bottino della giornata insieme al mucchio di stracci che si portava sempre dietro per paura che glieli rubassero, erano le sue coperte per la notte. Prese il disegno e lo appoggiò ad una delle pareti di cartone. Finalmente un po’ di colore e di luce in quel posto misero e triste. Qualcosa che le avrebbe scaldato un po’ il cuore, perché dai colori si capiva che chi lo aveva disegnato era felice e, proprio per questo, non si spiegava come avessero potuto gettarlo via. Adele non era esperta, ma per lei quello era proprio un gran bel disegno e quella sera si addormentò guardandolo. Sperò che quel lago tra i monti potesse essere lo scenario dei suoi sogni e si immaginò in quella casetta, seduta davanti al caminetto ad ammirare il lago.

L’indomani si svegliò presto come faceva ogni giorno, radunò i suoi stracci nella solita busta, mangiò un biscotto che era già vecchio quando lo aveva trovato, ma il cui sapore era ancora tollerabile e si avviò per il suo solito giro alla ricerca di cibo.

Era tutto molto diverso da quando, qualche anno prima, poteva permettersi di entrare in un supermercato e riempire il carrello della spesa senza pensare troppo, ma la vita cambia e può capitare che un giorno ti ritrovi a non avere più nulla, che non è colpa tua se ti capita, e che non hai nemmeno qualcuno disposto ad aiutarti veramente e che, nonostante la rabbia e la delusione, provi una gran vergogna per quel fallimento da convincerti che sparire sia l’unica soluzione.

Nel caso di Adele fu qualcosa di molto piccolo, qualcosa di invisibile, ma che racchiudeva la forza di una grande calamità, di quelle che quando passano si lasciano dietro morti e disperazione.

Adele aveva perso tutto, prima il lavoro, poi i risparmi, in seguito la casa ed infine l’auto. Non era stata l’unica, ma lei non ce l’aveva fatta a riprendersi, si era sentita sopraffatta da quella catastrofe al punto che, con le poche cose che le erano rimaste, qualche tempo prima, di notte, aveva attraversato, con passo stanco, quel ponte. Per tutto il cammino una pioggia torrenziale aveva offuscato, insieme alle lacrime, il suo sguardo, ma non si era fermata. Voleva allontanarsi da tutto e da tutti per cominciare una nuova vita dall’altro lato, ma fu di nuovo un fallimento e si ritrovò a vivere sotto quel ponte. “Sempre meglio del non vivere affatto” si ripeteva spesso.

Risalito l’argine del fiume Adele vide l’edicolante che sistemava la locandina del giorno e, come faceva sempre, si avvicinò per leggere. Nonostante la sua infelice situazione, amava sapere del mondo intorno a lei. Del virus nessuno parlava più, la vita era andata avanti, almeno quella degli altri. Solo politica, economia “Mah!” esclamò avvicinandosi “Quello è il mio disegno!” e si soffermò a guardare meglio “Si è proprio lui! Quel sole così grande, il lago, la casa di legno” lesse il titolo scritto sotto – Presi i ladri del furto alla casa d’aste, recuperata la refurtiva, manca solo un acquerello di grande valore – non terminò di leggere che velocemente fece ritorno tra i suoi cartoni e lamiere.

Il disegno era ancora li, lo guardò a lungo, era proprio lui e si, sembrava proprio originale. In un angolo c’era una sigla, M.P. che il giorno prima non aveva visto “non lo ha dipinto un bambino” pensò mentre metteva il disegno nella solita busta e tornava a risalire l’argine.

Seduta al tavolo, assaporando la sua frittata di carciofi veri e non di soli gambi, Adele osservava il disegno sul muro della sua piccola cucina: il sole troppo grande, il lago, la casetta.  Era l’unica cosa che aveva chiesto nel restituire l’acquerello, ne voleva una copia per la sua casa di cartone e lamiere. Ma insieme alla copia arrivò anche altro che le consentì di iniziare la nuova vita di qua dal ponte come tanto aveva sperato.

“– Che fai nella vita?
– Lo scrittore, ho un blog. E tu?
– Il pilota, ho lo scooter.”
(Chetetuitti, Twitter)

P.s.: Se avete voglia di giocare possiamo trovare 3 parole per voi, fatecelo sapere nei commenti.

Storia d’amore

Aperta la porta il suo sguardo cadde sul grande tappeto persiano al centro del salone. Un cagnolino, che ad occhio stimò sui 20 cm, vi camminava sopra a stento. Non appena la vide si diresse verso di lei.
“No non posso” pensò guardandolo tra il terrorizzato e il tenero “non posso portarlo a casa. Adesso è piccolo, è tenero, ma poi cresce, diventa gigantesco, cattivo e mi morde” fece qualche passo indietro come per andarsene “Mamma! Mamma! Guarda cha carino, portiamolo a casa dai!” gridarono in coro i suoi figli entrati dietro di lei “Bambini non posso, lo sapete ho troppa paura, non ce la posso fare” “Si mamma ce la farai! E poi non dovrai fargli nulla ci penseremo noi”. Non sapeva cosa fare, sapeva che se avesse accontentato i bambini adottando quel cucciolino, di cui altri cercavano di disfarsi, in casa sua sarebbe scoppiata una guerra. Suo marito non voleva, lei aveva paura. Non lo avrebbe mai toccato o preso in braccio e lasciare tutta la responsabilità di accudire ed educare un cane a dei bambini era da incoscienti. Mentre tutti i suoi film mentali di morsi o aggressioni si affollavano e scorrevano veloci i bimbi erano già sul tappeto che giocavano con il cucciolo. Erano felici, ridevano, saltavano. Li osservò a lungo e disse “E come vorreste chiamarlo?” “Lucky con il CK mamma! Quindi lo prendiamo?” “Si anche se non so quanto sarà fortunato, io non ne voglio sapere nulla, non lo toccherò mai, non lo porterò fuori ed il papà si arrabbierà tantissimo con me, perché ve le do sempre tutte vinte e perché ha detto chiaramente che non vuole un cane in casa”
Era inverno, fuori era molto freddo, avvolsero il cucciolo in un panno, lo misero in una scatola da scarpe ed uscirono. Il più grande dei bambini teneva la scatola molto saldamente perché non capitasse nulla a quel tesoro prezioso.

È così che iniziò l’avventura della mia famiglia con il nostro amatissimo “Lucky con  il CK” che dopo 17 anni di amore incondizionato quest’oggi ci ha lasciati tra le carezze e le coccole, travolto dall’affetto di tutti noi che non riuscivamo a staccarci da lui.

Lucky, in questi diciassette anni, mi ha e ci ha insegnato molto. Innanzi tutto cos’è l’amore. I suoi occhi ne sono sempre stati pieni, strabordavano di amore. Amore puro, incondizionato, un amore immenso dato in cambio di una carezza, un sorriso, una coccola, un croccantino, un nulla. Si! Ci amava anche quando non avevamo nulla per lui. Gli bastavamo noi, con i nostri pregi e difetti, anche solo la nostra presenza silenziosa era per lui motivo di felicità.

Ci ha insegnato il valore dell’amicizia, sempre pronto ad accogliere chiunque con il suo scodinzolio e le sue feste. Ci  ha insegnato ad apprezzare chi è diverso da noi grazie alla sua amicizia con i gatti di mia sorella e ad ogni cane di qualsiasi colore o razza che incontrava, lui scodinzolava sempre a tutti, voleva giocare, correre insieme a loro. Ci ha insegnato il valore dell’accoglienza quando, ormai grande, ha visto arrivare in famiglia un nuovo cucciolo. Lo ha accolto con amore, facendogli da nonno e condividendo, ogni volta che il cucciolo veniva a trovarci, i suoi spazi con lui.

Lucky con l’amore che ci ha regalato a profusione e con i suoi insegnamenti ha reso la nostra famiglia una famiglia più ospitale con il prossimo, una famiglia più aperta e meno egoista.

Lui era “l’amore mio” ” il mio cucciolotto” … quando gli dicevo così le sue orecchie si addrizzavano e la sua coda non si fermava più. L’ho amato come non avrei mai pensato, è cresciuto, ma non è diventato enorme come credevo, ma anche fosse stato, lo avrei amato immensamente lo stesso. A me in particolare ha insegnato  l’amore per gli animali, in ogni cane che incontro non vedo più un potenziale pericolo, ma solo amore, tenerezza e dolcezza e non posso che essergliene riconoscente.
Lasciargli intraprendere il suo viaggio verso il ponte dell’arcobaleno è stato doloroso, ma poi quando ho guardato il cielo ed ho visto che aveva un colore stupendo, oggi era di un azzurro cangiante, si intravedevano altri colori, ho capito che è stato giusto così. È tornato a scorrazzare felice sui verdi prati, a giocare con i suoi amici fino a quando saremo di nuovo insieme.

Cosa posso dire?  È dolorosissimo separarsi da un amore così grande, ma è un amore che va vissuto per capirlo e per crescere umanamente e interiormente. Il mio consiglio è: non indugiate, non abbiate paura a far crescere i vostri figli con un cucciolo ne usciranno sicuramente molto forti e ricchi d’amore e ricevendo tanto amore disinteressato sapranno donarne altrettanto.

“L’amore per un cane dona grande forza all’uomo” (Seneca)

Buon Natale …

Ci siamo quasi, il Natale è dietro l’angolo.

Avevo deciso che non lo avrei festeggiato, che non avrei fatto l’albero e non avrei addobbato la mia casa da perfetta natalosa che sono “Tanto non verrà nessuno, i ragazzi non ci saranno”, mio marito si è rifiutato di assecondarmi in questa deriva di tristezza natalizia e in un batter d’occhio, a differenza degli altri anni in cui lo dovevo implorare perchè andasse a prendere gli addobbi in garage, un giorno, rientrando in casa, ho trovato tutti gli scatoloni pronti nel mio soggiorno … mi ha praticamente costretta: o passavo il Natale con gli scatoloni in casa o davo forma al tutto. Ramo, dopo ramo, lucina dopo lucina, il mio albero ha preso forma, le palline sono andata al loro posto, i carillon hanno iniziato a suonare ed ora sono felice di non averlo deluso, né lui né il mio pelosetto che, ormai anziano e malato, sembra stia apprezzando molto il clima natalizio.

Un augurio a tutti voi di Buon Natale, forse non sarà un Natale di grandi feste, di luci scintillanti, di tanti doni, sarà sicuramente un Natale più intimo, più familiare e spero sarà l’occasione di riscoprire il vero significato di questa festa.

“Il Natale non è un tempo, né una stagione, ma uno stato d’animo” (Calvin Coolidge)

“Le bimbe di Conte”

Che signore e signorine con una forte ammirazione per il nostro premier non fossero un numero esiguo lo avevo intuito, ma che addirittura esistesse, sin dal 2018, la community, tra il serio e l’ironico, “Le bimbe di Conte” mi era sconosciuto e quando tra l’allibita e il sorpresa mi ci sono imbattuta ridere è stata l’unica cosa che sono riuscita a fare.

Mentre io esorcizzavo il lockdown tra lievito, farina e post sul blog, queste signore e signorine di Dpcm in Dpcm sono cadute vittime del fascino del premier: sguardo ammaliante, sorriso incantatore più tono suadente hanno cotto le bimbe a puntino. Altro che lievito, farina e acqua … ho cotto giusto qualche pizza.

Ho tentato di visualizzare una potenziale bimba di Conte e la mia immaginazione mi ha fatto vedere una bimbetta con le codine, ai piedi calze corte e ballerine, una gonnellina appena sopra il ginocchio e una camicetta con qualche ricamino. Invece no, è varia l’età ed anche la provenienza.

A suon di meme “Io resto a casa con te” “Lavati le mani come se stessi lavando Conte”, di hastag #UnDecretoDaSogno, #decretacitutti, #quarantenasexy, nonchè commenti del tipo “tutte sottone per te”, dedicati al premier si sono fatte conoscere nel web.

Appellarsi come le “donne di Conte” poteva dare il via a malelingue e facili illazioni, premier e donne, anche pseudo nipoti , è un binomio straconosciuto nel nostro paese e non solo, ed è anche stato scritto di tutto e di più, invece “le bimbe” suona, sicuramente, molto più innocente.

Forse è così che si sentono quando, davanti alla TV, ascoltano l’enunciazione dell’ultimo Dpcm o l’intervento del premier all’ennesima inaugurazione o impegno istituzionale: il loro cuore sarà palpitante e la sua voce le rassicurerà come quella del papà che racconta la storia della buonanotte.

È un vero peccato che il premier lo stesso effetto non lo faccia a quanti si vedono costretti a chiudere le loro attività, a tenere a casa i dipendenti, ad annullare impegni. Magari palpita anche il loro cuore, ma per motivi diversi e al meme “Ogni suo discorso è un colpo al cuore” loro danno sicuramente una interpretazione diversa, ma questa è un’altra storia.

Tornando alle bimbe di Conte fenomeno che, se non fosse che sono una tipa acida e poco incline a cuoricini e palpitazioni varie, potrebbe essere simpatico e divertente, ciò che mi ha lasciato costernata è il merchandising che si sono inventate: magliette, tazze, cappellini tutti con citazioni di Conte o immagini dello stesso abbellite da cuoricini. I prezzi non mi sono sembrati proprio modici, ma tranquilli, esistono dei codici promozionali.

Considerato che gli elementi ci sono tutti: un nutrito seguito web e una passione comune a quando il partito politico “Le bimbe di Conte”? Per la gestione posso suggerire la solita piattaforma digitale, ma la chiamerei “Liala” e per la carta stampata “Cioè” potrebbe essere una soluzione, sempre che esista ancora.

„Fantasie, fantasie che volano libere, fantasie che a volte fan ridere, fantasie che credono alle favole.“

Vasco Rossi

Perse nell’eros

Momentaneamente assenti, torneremo presto a trastullarci sul blog, sia perchè ci mancate, sia perchè dovremo affrontare il prossimo lockdown di cui si inizia ad avere un certo sentore e cosa c’è di meglio di scrivere per affrontare le proprie paure?

Al momento siamo entrambe impegnatissime a far lavorare la nostra fantasia, è più di un mese ormai che sto trasformando un personaggio da tranquillo professore ad assassino feroce o investigatore scaltro. In base al mio umore cambia la sua personalità e di conseguenza tutta la storia, ma ne uscirò fuori, al più lo ammazzo io.

Non migliore sorte è toccata a Quarantenastyle, costretta dal nostro insegnante a lanciarsi in un mini racconto erotico. Ha tentato invano di fare uno scambio con il fantasy o il romanzo storico, ma l’insegnante è stato perentorio “Quarantena è ammesso tutto sadomaso, bondage, sesso estremo, ma no scambisti, perciò tieniti il tuo stile erotico e piantala”. Ora la poveretta è li che tra glutei sodi e seni turgidi cerca, con imbarazzo, di cavare un ragno dal buco, lo so lo so detta così può suonare strana … ma non pensate subito male, intendo proprio il modo di dire “ragno dal buco”

Ha chiesto aiuto anche a me, la scusa sarebbe stata ottima per leggere tutte le sfumature dell’arcobaleno, ma niente non ce l’ho fatta, la cosa più erotica che ho potuto suggerirle la ricetta del cazzimperio accompagnato dalla degustazione di un Passerina fresco, vino dal gusto leggermente evocativo, non mi ha mandato a vaffa, ma quasi.

Basta chiacchiere … come state amici? Ci mancate e speriamo che presto riusciremo a metterci in paro con le vostre storie e proporvene di nostre, nel frattempo vi salutiamo affettuosamente.

E anche se nessuno ci ha cercate a “Chi l’ha visto” vi amiamo lo stesso … sapevatelo

Cerco sempre di fare ciò che non sono capace di fare, per imparare come farlo.
(Pablo Picasso)