
“Beh? Che voleva quella? “
“Cazzo ne so, si sarà sbagliata! “
“Sì, certo come no? e s’è sbagliata pure con la targa…come s’è sbagliato quello di Firenze … e poi che hai fatto, gliel’hai data la cassetta?” –
“Per forza, quella stronza stava chiamando la pula, sì ma se domani non me la riporta vado a casa sua e le faccio un culo così”.
Non era la prima volta che Francesco si smentiva in questo modo, probabilmente non se ne rendeva neppure conto. “Ma se hai detto che non sai chi è, come fai ad andare a casa sua?” Francesco rimase per un attimo in silenzio, si morse il labbro e poi, con tono basso ma secco, rispose “Dove cazzo sei stata questo pomeriggio? Ho chiamato a casa e non hai risposto!”
Il telefono squillò una domenica di inizio estate. “Pronto, sì è mio marito, non è in casa, posso riferire qualcosa?” all’altro capo una voce con forte accento toscano la apostrofò “DiHa a quel HHojjone che se si azzarda ancora a molestare una disabile lo ammazzo personalmente, Harolina non si tocca, chiaro?”.
“Con chi parlo, mi dica almeno il suo nome”. “Vanni” e riattaccò.
Laura rimase a lungo con il telefono appoggiato all’orecchio. Che faccio? Chiamo il 112? Il 113? Il 118? Che numero si fa in caso di emergenza? Alla fine desistette, per vigliaccheria , per non finire sulla bocca di tutti. “Lo sai? Tè sentì? Sì sì propi chel là. A’ man dì che al fasea ul spurcasciun …”.
No, non ce l’avrebbe fatta a sostenere gli sguardi e le parole lasciate a metà dalle solite comari che si accampavano sui gradini dei plessi scolastici ad attendere che i loro pargoli finissero di denigrare il compagno di banco .
“Ma stavolta non la passa liscia” urlò a sé stessa mentre riagganciava con forza il telefono.
“Ti dice niente “Carolina”?” Lo affrontò così, d’impeto, senza preamboli, appena rientrò per cena.
“Carolina chi, quella della Pizzeria? Che dovrebbe dirmi?” rispose con una risata forzata, muovendo la testa a scatti alla ricerca di un punto di ancoraggio, qualcosa che gli permettesse di non cadere nel precipizio e lo trovò . “Che si mangia stasera? C’è un profumino fantastico, che hai fatto, pasta al forno? Mmmhhh deve essere fantastica”.
“CICUTA! ” sbottò Laura “cicuta rosolata con pancetta ed una manciata di parmigiano, poi vediamo dove va a finire la tua boria, smettila di fare il cretino. Ca-ro-li-na, Carolina la toscana, cos’hai da dire!”
“Non so di chi cazzo parli e non me ne fotte una sega”, urlò Francesco a pochi centimetri dal suo volto, il suo sguardo era torvo e le pupille parevano sfere d’acciaio.
“Che succede, pà, perché alzi la voce?”
“Nulla, Paolo, nulla, stiamo solo parlan…. Va’ che sei sporco di sangue, lì sotto al mento, un po’ più a destra, ancora un po’, ecco sì, lì così…tieni, pulisciti e non usare le lamette vecchie. Dai, torna in camera tua, io e mamma stiamo solo parlando è che lei è la solita, lo sai, fa sempre così. Ti chiamo quando è pronto e dì ai tuoi fratelli di abbassare lo stereo. Laura, dacci un taglio, non so che ti frulla per la testa ma vedi di toglierti quelle strane idee, Paolo ti ho detto di andartene in camera tua, cazzo non ascolti mai!”.
Ma Paolo non aveva nessuna intenzione di schiodarsi dalla porta della cucina, appoggiò la schiena allo stipite, incrociò braccia e gambe e rimase immobile, fissando i genitori attraverso le lenti degli occhiali da vista, consapevole che la sua presenza avrebbe raffreddato gli animi. E Carolina svanì, nel cassetto degli orrori custodito da un Barbablù con le pupille d’acciaio.
“Allora, Che ci facevi in quel bosco?”
Io? Che ci faceva lei semmai, rispose Francesco senza scomporsi, io stavo solo riprendendo una coppia di merli, è lei che ha la coscienza sporca.
“Certo, Merli, ora si chiamano così …. e la cassetta dov’è?”
“Boh, da qualche parte nello studio, sulla libreria credo, ha cancellato tutto quella stronza ma se la ribecco non la passa liscia”.
“Se la ribecco… ha cancellato tutto… ma ti ascolti quando parli?”
Laura era seriamente preoccupata, non per le minacce, perché tanto sapeva che erano tutte un bla bla bla, quanto per il timore che la situazione potesse degenerare perché quelle che inizialmente considerava coincidenze e che l’avevano portata a credere che in fin dei conti fosse solo un po’ sfigato, iniziavano ad assumere proporzioni rilevanti. “Ma forse”, si disse per l’ennesima volta, “sono io che ho la mente contorta, non può essere davvero così”.
Non fu facile suonare nuovamente quel campanello.
“Ciao Valentina ti ricordi di me? Ci siamo viste la settimana scorsa”.
“ah signora Laura, sì mi ricordo di lei”.
“Dammi pure del tu, Valentina, ti fidi di me vero, ti ricordi che eravamo diventate amiche? ”.
A Laura pareva strano parlare così ad una donna molto più grande di lei. “Si mi fido, ma il signor Francesco mi ha detto che non devo parlare con nessuno, mi ha detto che mi devo fidare solo di lui, lui mi vuole bene, mia sorella si è arrabbiata ma io le ho detto che non si deve intromettere perché io sono grande”.
Valentina parlava a ruota libera, innocentemente, come solo una bambina in un corpo da donna riesce a fare.
“Valentina, cosa fate te ed il Signor Francesco quando viene a trovarti?”
La donna si irrigidì. “Niente” rispose in fretta “lui è una brava persona, mi viene a trovare, alcune volte mi porta dei regali ma io non posso mangiare le caramelle, mia sorella non vuole e io glielo ho detto al signor Francesco e poi mi telefona e mi dice che mi vuole bene e che gli manco tanto e che vuole incontrarmi ma io non ho il suo numero e non lo posso chiamare”. Laura era dispiaciuta, si capiva che quella donna dall’aspetto minuto era stata manipolata, non necessariamente per ottenere in cambio un rapporto sessuale, alle volte gli bastava molto meno, una sbirciatina, una toccatina … tanto lei non si sarebbe opposta, come le altre, del resto.
La voce che proveniva dall’altoparlante aveva quasi coperto il lungo biip del messaggino “Si avvisa la gentile clientela che è iniziata la nuova raccolta punti”. Laura aprì whatsapp “Lamette”, Paolo non era particolarmente espansivo e i sui messaggi erano sempre molto stringati.
“Chiedi ai tuoi fratelli se hanno bisogno d’altro”.
“Nulla”, rispose Paolo.
Laura insistette “Senti Sabri e Alessandro e fammi sanare”.
“Sanare?”
“Uffa, dai hai capito, è il t9, fammi sapere e dì a Sabri che le ho preso l’antibiotico”.
Ripose il cellulare nella tasca dei jeans e proseguì tra le corsie, depennando dalla lunga lista della spesa tutto ciò che metteva nel carrello.
“Eccallà, finalmente, tre ore … cazzo hai fatto in tre ore?
La spesa, rispose Laura a denti stretti fissando lo sguardo incattivito di Francesco “e comunque non son tre ore… ma se anche lo fossero non vedo il problema, se mi aiuti a scaricare la macchina invece di incazzarti ti rendi conto di tutto quello che ho acquistato”.
Ma l’ira di Francesco non si placava. Palle, sei una contapalle, ho controllato i chilometri, dove cazzo sei andata?
Laura iniziò a fremere, non aveva nulla da nascondere, avrebbe voluto mandarlo a quel paese ma l’odore di alcol lo avvolgeva come un’aurea torbida e sapeva che qualunque risposta avesse dato avrebbe portato all’ennesimo scontro.
“Allora, ALLORA, ALLORA?”, incalzò lui.
“Calmati dai, lo vedi anche dai sacchetti, macellaio, fruttivendolo, Iper e sono pure passata in farmacia, ci vuole tempo”. “Bugiardaaaaa”, le urlò contro “con chi cazzo ti sei incontrata!!!” Il telefono squillò. Francesco rispose. “E’ tuo figlio”, le disse porgendole la cornetta in malo modo. Laura rispose, sapeva giù il motivo di quella chiamata “Mà, ho sentito tutto, stiamo al telefono così papà si calma …”
La prima volta che Laura entrò in Associazione lo fece con le lacrime agli occhi , si sentiva una fallita, ma forse, pensò, sto sbagliando davvero tutto, in fin dei conti non è cattivo, non mi ha mai messo le mani addosso a parte..vabbè ma quello è stato un caso”.
Patrizia l’accolse con un sorriso ed una forte stretta di mano. Laura non aveva grandi aspettative, si era recata in associazione su insistenza di sua sorella che teneva monitorata la situazione.
“Non è colpa tua”, le disse Patrizia dopo aver ascoltato a lungo i suoi sfoghi, “sta proiettando, ti accusa di fatti compiuti da lui, tienilo sempre a mente soprattutto nei momenti più difficili e chiamami a qualunque ora, anche di notte, ricordati che non sei sola”.
Scarabocchiò il proprio numero di cellulare su un foglietto e glielo porse. Patrizia non era un’operatrice e neppure un medico, era semplicemente una donna che era passata attraverso delle dinamiche simili e aveva superato i momenti critici con la forza e la determinazione. Forse fu proprio questa consapevolezza che spinse Laura a lasciarsi andare, raccontandole nel tempo ciò che mai aveva osato raccontare a nessuno e Patrizia diventò così il suo angelo custode.
“So che sorriderai”, le disse un giorno porgendole una scatolina di cartone. Laura la aprì, al suo interno, adagiato su un panno colorato, un pezzo di sapone. “Ogni volta che lui ti accuserà di qualcosa o ti vieterà di uscire o di parlare, tu ripensa a questo dono e a ciò che esso rappresenta”.
La prima volta che sentì parlare di narcisismo perverso fu per puro caso, seguendo in televisione un caso di violenza in famiglia. Ma lui non è così, si disse ancora una volta.
“Cosa ti fa pensare che lui sia diverso?”, le chiese Anna nel corso di una delle tante sedute di psicoterapia.
A questa domanda Laura non aveva risposte. Semplicemente negava a sé stessa una realtà ancor più dolorosa.
“Non puoi fare nulla per lui, puoi solo fare qualcosa per te stessa”
Sì, ma che cosa? Laura si aspettava risposte concrete, avrebbe voluto che qualcuno le dicesse cosa fare, che le presentasse un elenco di azioni da compiere, magari in ordine cronologico o anche solo alfabetico. Tac Tac Tac, problema risolto.
Ma non fu così.
Laura non aveva bisogno di elenchi perché gli elenchi li conosceva già, facevano parte del suo patrimonio genetico, Laura aveva solo bisogno di tornare ad essere sé stessa.
“Che palle, anche stasera è arrabbiato”, pensò Laura sentendo sbattere la porta.
“Chi c’era in casa?”
“Nessuno chi vuoi che …” – “Non dire cazzate, ho visto una Peugeot rossa con una portiera ammaccata che ripartiva!”
“Qui non è venuto nessuno” rispose Laura decisa “i vicini hanno acceso la griglia, sarà stato un loro parent…” – “balle era qui, chissà che cazzo fai quando non ci sono… e le mie liquirizie? Dove sono le mie liquirizie!!!”.
Laura rovistò nella borsetta, tieni, gli disse porgendogli un pacchetto ancora nuovo “e vedi di calmarti, io vado a fare una doccia”. Entrò in bagno, si chiuse a chiave, aprì l’acqua e si sedette su uno sgabello, aveva bisogno di parlare con il suo angelo custode. “Patrizia, sono preoccupata, oggi ho parlato con Vanni, le cose si mettono male, era agitato, mi ha implorata di aiutarlo. Fra’ non sa nulla, o almeno credo, ma oggi è più intrattabile del solito. Non so che fare Pat, non voglio finire nei guai, ma Vanni mi ha chiesto di…“ “Che cazzo fai li in bagno, con chi parli?”
“Con nessuno ora esco”
“Patrizia”, sussurrò al telefono “ora non posso parlare. Ti richiamo appena possibile.”. Chiuse frettolosamente la chiamata e si infilò sotto la doccia per bagnare i capelli, poi indossò l’accappatoio ed aprì la porta “neppure in bagno posso stare tranquilla?”.
Ma Francesco non riusciva a calmarsi, continuava a camminare avanti e indietro da un locale all’altro, alzando la voce, imprecando, offendendo, minacciando. “Siete tutte uguali voi donne, siete delle stronze”, urlava senza apparente motivo Poi iniziò a picchiare i pugni sulla porta, vide il cellulare che Laura aveva appoggiato sul tavolino, lo prese e lo scaraventò con forza contro al muro. “Così la smetterai con tutti quegli uomini, puttana PUTTANAAAAA!”
Laura si spaventò, non aveva mai temuto per la propria incolumità ma quella sera le sue certezze iniziarono a vacillare . “Mamma ti prego fai qualcosa” la supplicò Sabrina agitatissima, i suoi fratelli si erano chiusi nelle loro camere pronti ad intervenire se fosse stato necessario.
“Sabri, io esco, vado da Lucille, se non mi vede magari si tranquillizza, il cellulare è rotto ma se hai bisogno sai dove trovarmi”. Si vestì rapidamente prese il giaccone ed uscì di casa con le lacrime agli occhi. I capelli erano ancora umidi, sollevò il cappuccio cercando di ripararsi la gola con il bavero ma il freddo le penetrava nelle ossa.
Si incamminò lentamente lungo la via, cercando di non dare troppo nell’occhio. Alle sue spalle una voce agitata le urlò “Dove cazzo vai, Giovanna, torna indietro, i panni sporchi si lavano in casa”. Troppo comodo, pensò Laura allungando il passo. Si asciugò le labbra bagnate di lacrime e suonò il campanello.
Lucille Laurent aprì la porta che dava sul salotto.
“Mon Dieu, Laura cos’è successo? Vien entre, tes mains sont glacée, ti preparo un the caldo” .
“Ti ringrazio Lucille, non mi va nulla, preferisco restare qui fuori”, si sedette su un gradino fissando un secchio di macerie e dei mattoni abbandonati in un angolo “A che punto sono i lavori?”. Non attese risposta. “Prestami il cellulare… ho parlato con Vanni, ho paura, non so se sto facendo la cosa giusta. Frà è completamente fuori di testa, poco fa si è confuso e mi ha chiamata Giovanna, non so chi sia, sarà una delle tante”.
Con le mani tremanti compose quel numero che conosceva a memoria. Mi odierà, si disse, ma subito ripensò a quel pezzo di sapone che Patrizia le regalò in Associazione. Laura lo conservava ancora, era il simbolo della rinascita, la consapevolezza che i panni sporchi, se lavati nelle giuste sedi, tornano lindi e profumano di libertà.
Un leggero rumore la fece trasalire, sapeva che l’aveva seguita ma non lo temeva, eppure … c’era qualcosa di strano nell’aria. “Vattene” urlò serrando i pugni “ho bisogno di stare sola”.
”Poi improvvisamente un bastone si sollevò, Laura lanciò un urlo, il cellulare che teneva in mano cadde per terra. Un dolore lancinante alla spalla la fece barcollare ed il suo corpo iniziò a tremare.
Delle figure uscirono dall’ombra, Laura incrociò il viso di una donna che la stava soccorrendo “Stai Halma, le disse tenendola stretta in un abbraccio materno, “lo sai, non ce l’abbiamo Hon te”, Laura fissò quegli occhi chiari contornati di rimmel e quelle labbra che ancora profumavano di liquirizia e sussurrò “mi avevi detto che volevate solo parlargli …”.
“Oh Hoglione, a te oh sapevi che a dovevi lascià stare” urlò Vanni sollevando un mattone. Francesco parò il colpo con la mano ma cadde per terra, un uomo molto più giovane e tarchiato lo colpì alle spalle, Francesco si rotolò sull’asfalto ma subito si rialzò riuscendo a sferrare un pugno nello sterno di Vanni che si accasciò sui gradini. Approfittando di un attimo di distrazione l’uomo tarchiato afferrò Francesco da dietro le spalle serrandogli le braccia, Vanni si sollevò e lo colpì con un calcio al basso ventre.
“Hosì forse Hapirai, neanche pè piscià lo potrai più usare”.
Francesco si raggomitolò sull’asfalto gemendo e il suo respiro divenne affannoso.
Si rialzò con molta fatica, barcollando, sembrava si fosse arrivati all’epilogo quando di colpo Francesco afferrò Vanni per la camicia ma si sbilanciò e cadde per terra, l’uomo tarchiato gli piombò addosso e lo bloccò colpendolo ripetutamente sui reni.
Sfinito, con gli abiti lerci e la bocca impastata di terra e di sangue sussurrò “non sapevo che fosse disabile”.
L’ira dei due uomini, che pareva placarsi, si riaccese.
“Bujiardo, sei un bujiardo, l’hai circuita, le dicevi come muoversi, Hosa indossare e Hosa togliere… le dicevi che era speciale, la chiamavi la donna con le ruote d’acciaio, le avevi promesso un futuro meraviglioso e lei ci aveva creduto. Dovresti vergognarti, sapevi che era fragile e invece sei ancora qui a raccontare balle e ora lei…lei …. “
Vanni sollevò un braccio, pronto a sferrare l’ennesimo pugno, ma d’improvviso si accasciò per terra, stremato.
E pianse.
Dall’abitazione giunse una voce concitata “Police Police aiuto, lo stanno ammazzando”.
All’arrivo dei soccorsi la banda si era già dileguata a bordo di un’auto parcheggiata in una via laterale. Laura ripensò a quella figura femminile con gli occhi chiari contornati di rimmel. Una figura importante, una donna forte nonostante l’età, una donna abituata a sostenere il peso di una figlia disabile, adulta nel corpo ma fragile nell’anima.
Per terra un corpo tumefatto si contorceva dal dolore ed imprecava a gran voce. Era vivo, almeno quel tanto che bastava per raccontare la propria versione dei fatti ai figli che nel frattempo erano giunti, attirati dal via vai delle sirene.
Laura si sedette sui gradini fissando le macerie, afferrò una piastrella sbeccata e la lanciò con forza in un angolo buio. “Fanculo”, urlò a sé stessa ma una fitta alla spalla la fece irrigidire, serrò le mascelle e spostò il busto cercando di attenuare il dolore.
Venga signora, la accompagniamo in ospedale, ma Laura rifiutò, voleva tornare a casa, aveva bisogno di una doccia calda e del suo letto, aveva bisogno di pensare, di riflettere … di riposare.
“La aspettiamo domattina in caserma, ma stia tranquilla, li prenderemo, probabilmente già questa sera”.
Laura ripensò a quella visita inaspettata, erano trascorse poche ore ma le parevano un’eternità.
“Ti prego, aiutaci, fa’ He esca, ce vojjo parlà ”, le disse Vanni un attimo prima di allontanarsi a bordo di una Peugeot rossa con la portiera ammaccata.
Laura li aveva aiutati, l’aveva fatto per Carolina, per Valentina ma soprattutto per sé stessa. Forse, l’indomani, quel cassetto degli orrori sarebbe stato finalmente spalancato e Barbablù sconfitto.
Il telefono per terra squillò, Laura lo sollevò e rispose, all’altro capo una voce nota le ricordava il profumo di sapone e di bucato pulito.
“Ho ricevuto una chiamata da questo numero, con chi parlo?”

Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale. Anche se qualcuno potrebbe riconoscersi nei dialoghi riportati benchè siano assolutamente ripresi, romanzati e riassunti gli aneddoti riportati sono a titolo esemplificativo di fatti verosimili.
Brava! Giusto ricordare la giornata di oggi con questo racconto che è lo specchio di tante realtà di cui, purtroppo, non si viene a conoscenza, se non troppo tardi.
Complimenti ben scritto 🙂
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Purtroppo se ne parla ancora troppo poco
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